LE CRONO PISTE

Il tempo è sempre stato uno degli aspetti principali della cultura umana, poter prevedere eventi futuri o poter modificare eventi passati sono state due delle massime aspirazioni dell'uomo.

Conseguenza "naturale" di queste due aspirazioni è il sogno del viaggio nel tempo, un sogno che sotto l'aspetto prettamente scientifico non può essere negato ma che, praticamente, tende a restare solo e semplicemente un'aspirazione e una vana speranza.

Sotto l'aspetto culturale sono molte le opere che si sono interessate al soggetto e lo hanno fatto sotto angolature diverse, anche se, sfruttata la novità iniziale del viaggio in se', gli autori hanno preferito analizzare e sviscerare i problemi che l'eventuale viaggio potrebbe comportare, i cosiddetti paradossi temporali.

Il viaggio temporale anche se è stato analizzato durante tutto l'arco della produzione artistica umana, è un concetto prettamente moderno.

Uno dei primi classici esempi del genere è forse A Christmas Carol di Charles Dickens (1843) dove il protagonista guidato dal fantasma del Natale A Venire scopre la misera condizione del proprio futuro e può crearsi delle nuove possibilità modificando degli elementi del suo presente.

In queste opere iniziali il viaggio avviene essenzialmente attraverso l'induzione del sonno e sono soprattutto narrazioni cha hanno poco a che fare con il viaggio temporale così come lo concepiamo attualmente; gli eventi servono soprattutto come pretesto all'autore per analizzare la società contemporanea commentandone le linee di tendenza.

La possibilità di mettersi in contatto con persone od eventi cardine della storia umana ha dato vita ad un sottogenere delle storie sul viaggio temporale che lentamente sono diventate dominanti nel panorama della produzione più moderna: si tratta di quel sottogenere che analizza l'esistenza dei paradossi temporali che nascono dalla possibilità di cambiare, accidentalmente o intenzionalmente, un evento del passato (o del futuro) causando una frattura nel flusso di eventi storici. Il paradosso temporale più famoso è forso quello "dell'avo": un viaggiatore che uccide il proprio nonno causando così la propria non-nascita [analizzato per primo da Nathan Schachner in "Ancestral Voices" (1933)]

L'idea che piccoli cambiamenti nel passato possano dar vita a veri e propri stravolgimenti del futuro ha portato alcuni autori ad immaginare la realizzazione di squadre di 'polizia temporale' addetta proprio al mantenimento del filone originale del continuum storico.

 

Viaggi nel tempo

Esattamente cento anni fa, nel 1895, il classico The Time Machine (La macchina del tempo) di H. G. Wells fu pubblicato per la prima volta in volume. Come conviene al soggetto della materia, era il decimo pre-anniversario della prima pubblicazione, avvenuta nel 1905, della teoria speciale della relatività di Albert Einstein. Fu Einstein, come sa ogni studente, a descrivere per primo il tempo come "la quarta dimensione"… ed ogni studente si sbaglia. Fu in verità Wells che scrisse, in The Time Machine, che "non c’è differenza tra il Tempo e una qualsiasi delle tre dimensioni dello Spazio, tranne che la nostra coscienza si sposta lungo di esso".

Dai tempi di Wells e di Einstein, c’è stata una fascinazione letteraria continua col viaggio temporale e soprattutto coi paradossi che sembrano fronteggiare qualsiasi autentico viaggiatore temporale (qualcosa che Wells ha trascurato di investigare). L’esempio classico è il cosiddetto "paradosso della nonna", laddove un viaggiatore temporale causa inavvertitamente la morte della propria nonna da bambina, cosicché la madre del viaggiatore, e di conseguenza lo stesso viaggiatore, non sarebbe mai nata. Nel qual caso non sarebbe potuto andare indietro nel tempo per uccidere la nonna… e via dicendo.

Un esempio meno sanguinolento fu fornito in modo spassoso dallo scrittore di fantascienza Robert Heinlein nel racconto By his bootstraps (che si trova in moltissime antologie di Heinlein). Il protagonista nel racconto incappa in uno strumento per i viaggi temporali portato da un visitatore dal lontano futuro. Lo ruba e si ritira in una zona del tempo abbandonata, preoccupato dalla possibilità di venir scoperto dal vecchio a cui ha rubato la macchina del tempo… fino a che un giorno non comprende che ora è quel vecchio e fa in modo che il suo giovane io "trovi" e "rubi" la macchina del tempo. Una tale visione narcisistica del viaggio temporale è portata alle sue estreme conseguenze logiche da David Gerrold in The Man Who Folded Himself (Random House, 1973).

Sono pochi gli sceneggiatori di Dr Who ad aver avuto l’immaginazione di usare realmente la sua macchina del tempo in questo modo. Dopotutto sarebbe stata una visione piuttosto noiosa se ogni volta che il Dottore si sarebbe trovato di fronte ad un disastro sarebbe entrato nel TARDIS e sarebbe andato indietro nel tempo ad avvertire il suo io precedente di stare alla larga dal problema incombente. Ma le implicazioni furono esplorate approfonditamente per un pubblico più vasto nella trilogia di Back to the Future (Ritorno al futuro), riportando alla ribalta il punto che il viaggio temporale va completamente contro il buonsenso. Ovviamente il viaggio temporale deve essere impossibile. Soltanto che il buonsenso è una guida affidabile per la scienza quanto il ben noto "fatto" che Einstein se ne è uscito con l’idea del tempo come la quarta dimensione lo è per la storia. Rimanendo fedeli alle teorie di Einstein, è cosa scarsamente di buonsenso il fatto che gli oggetti siano più pesanti e più corti con l’aumentare della velocità di spostamento o che gli orologi girino più lentamente. Eppure tutte queste predizioni della teoria della relatività hanno trovato vita molte volte negli esperimenti, fino ad un numero impressionante di decimali. E se si guarda con attenzione alla teoria generale della relatività, la miglior teoria su tempo e spazio che abbiamo, viene fuori che non c’è niente che vieti il viaggio nel tempo. La teoria ammette che il viaggio temporale possa essere cosa molto difficile, a dire il vero, ma non che sia impossibile.

Forse inevitabilmente fu attraverso la fantascienza che scienziati seri si convinsero alla fine che il viaggio temporale poteva essere messo in funzione... da una civiltà sufficientemente avanzata. Successe così. Carl Sagan, un noto astronomo, aveva scritto un romanzo in cui usava l’artificio di un viaggio attraverso un buco nero per permettere ai suoi personaggi di viaggiare da un punto vicino alla Terra ad un punto vicino alla stella Vega. Benché fosse cosciente del fatto che stava piegando le regole accettate della fisica, era, dopotutto, un romanzo. Comunque, da buon scienziato, Sagan desiderava che la scienza nella sua storia fosse la più accurata possibile e così chiese a Kip Thorne, un esperto riconosciuto nella teoria gravitazionale, di controllarla e di consigliargli come poterla stiracchiare. Dopo aver osservato con attenzione le equazioni non di senso comune, Thorne si rese conto che un tale wormhole attraverso lo spazio tempo poteva realmente esistere come entità stabile all’interno dello schema della teoria di Einstein.

Sagan accettò con gratitudine le modifiche di Thorne al suo romanzesco "star gate" e il wormhole puntualmente apparve nel romanzo, Contact, pubblicato nel 1985. Ma era ancora presentato semplicemente come una scorciatoia attraverso lo spazio. Né Sagan né Thorne sul principio si resero conto che ciò che avevano descritto avrebbe funzionato anche come scorciatoia attraverso il tempo. Sembra che Thorne non si sia mai curato delle possibilità al viaggio temporale aperte dai wormhole fino a che nel dicembre del 1986 non andò col suo studente Mike Morris ad un congresso a Chicago dove uno degli altri partecipanti indicò casualmente a Morris che un wormhole potrebbe anche essere usato per viaggiare indietro nel tempo. Thorne racconta la storia di ciò che accadde in seguito nel suo libro Black Holes and Time Warps (Picador). Il punto chiave è che spazio e tempo sono trattati su una base essenzialmente uguale dalle equazioni di Einstein, proprio come aveva anticipato Wells. Così un wormhole che crea una scorciatoia attraverso lo spaziotempo può collegare sia due tempi differenti che due posti differenti. Senza dubbio un qualsiasi wormhole che si crei naturalmente, molto probabilmente collegherà due tempi diversi. Col diffondersi della parola altri fisici, che erano interessanti nelle implicazioni esotiche dello spingere le equazioni di Einstein agli estremi, furono incoraggiati ad esporre pubblicamente le proprie idee una volta che fu visto che Thorne avallava le investigazioni sul viaggio temporale e i lavori portarono alla crescita di un piccolo artigianato di investigazioni sul viaggio temporale alla fine degli anni ’80 e all’inizio degli anni ‘90. La linea principale di tutto questo lavoro è che mentre è duro vedere come una qualsiasi civiltà possa costruire dal niente una macchina del tempo sul wormhole, è molto più semplice immaginare che un wormhole che si fosse creato in modo naturale potrebbe venir adattato per soddisfare i bisogni del viaggio temporale da una civiltà sufficientemente avanzata. "Sufficientemente avanzata", cioè che sia capace di viaggiare attraverso lo spazio con mezzi convenzionali, localizzare buchi neri e manipolarli con la stessa facilità con cui manipoliamo la struttura della Terra in progetti come il Tunnel sotto la Manica.

Posto ciò, c’è un ostacolo. Sembra che non si possa usare una macchina del tempo per tornare ad un tempo precedente a quello in cui è stata costruita la macchina del tempo. Si può andare dovunque nel futuro e tornare laddove si è partiti, ma non oltre. Il che spiega in modo abbastanza pulito il perché nessun viaggiatore temporale dal nostro futuro non ci abbia ancora fatto visita: perché la macchina del tempo non è stata ancora inventata!

E tutto questo come si comporta rispetto a paradossi e buonsenso? Ci sarebbe un’uscita a tutte le difficoltà, ma potrebbe non essere di vostro gradimento. Investe l’altra grande teoria della fisica del XX secolo, la meccanica quantistica e un’altra idea cara alla fantascienza, i mondi paralleli. Sono le "storie alternate", in cui, per esempio, il Sud ha vinto la Guerra Civile Americana (come nel romanzo classico di Ward Moore Bring the Jubilee), che sono viste come giacenti in qualche modo "vicini" alla nostra versione di realtà.

Secondo un’interpretazione della teoria quantistica (e si deve dire che ci sono altre interpretazioni), ognuno di questi mondi paralleli è reale quanto il nostro e che c’è una storia alternata per ogni possibile risultato di ogni decisione che sia mai stata presa. Le storie alternate si diramano da punti di decisione, biforcandosi infinitamente come i rami e i ramoscelli di un albero infinito. Per quanto possa suonare bizzarra, questa idea viene presa seriamente da una manciata di scienziati (compreso David Deutsch, della University of Oxford). E di sicuro sistema tutti i paradossi del viaggio temporale.

Nel nostro quadro, se vai indietro nel tempo e impedisci la tua nascita la cosa non ha alcuna importanza, in quanto da questa decisione crei una nuova diramazione della realtà in cui non sei mai nato. Quando ritorni avanti nel tempo, ti muovi lungo il nuovo ramo e scopri che non sei mai esistito, in quella realtà, ma poiché sei comunque nato e hai costruito la macchina del tempo nella realtà della porta accanto, non c’è alcun paradosso.

Difficile da credere? Di sicuro. Contrario al buonsenso? Naturale. Ma la linea principale è che tutto di questo comportamento bizzarro è permesso dalle leggi della fisica e, in alcuni casi, è richiesto da quelle leggi. Mi chiedo cosa ne avrebbe potuto fare Wells.

 

Il tempo è un'illusione?

Solo per il fatto che noi percepiamo che il tempo fluisce in una direzione vuol forse dire che "ci sia realmente" una differenza tra passato e futuro? La vecchia questione filosofica è stata riesaminata da Huw Price, della University of Sydney, nel contesto della meccanica quantistica arrivando alla conclusione che l’idea che il passato non sia influenzato dal futuro sia un’illusione antropocentrica, una "proiezione della nostra asimmetria temporale". Permettendo ai segnali dal futuro di svolgere un ruolo nel determinare i risultati degli esperimenti quantistici si possono risolvere tutti gli enigmi e i paradossi del mondo quantistico.

Questo approccio ha una storia lunga (anche se non del tutto rispettabile), ma le implicazioni non sono state mai affermate in modo più chiaro di quanto non venga fatto da Price in un articolo sulla rivista Mind. E’ una delle curiosità delle equazioni di Maxwell, per esempio, che permettano due gruppi di soluzioni per gli effetti di una carica elettrica in movimento, uno che descrive un’onda elettromagnetica che si sposta dalla particella nel futuro alla velocità della luce (un’onda ritardata) e l’altro che descrive onde dal futuro che convergono sulla particella alla velocità della luce (onde avanzate). Le soluzioni dell’onda avanzata sono state ampiamente ignorate da quando Maxwell sviluppò le sue equazioni nel XIX secolo, ma alcuni ricercatori, compresi Richard Feynman e Fred Hoyle, hanno considerato le implicazioni nel prendere tali onde come fisicamente reali.

Più recentemente, l’idea è stata investigata in un contesto quantistico dal ricercatore americano John Cramer. Egli ha previsto una entità quantistica come un elettrone che stia per essere coinvolto in una interazione (da un punto di vista quotidiano) e che invii un’onda di "offerta" nel futuro. La particella con cui l’elettrone sta per interagire raccoglie l’onda di offerta e invia una risposta che echeggia all’indietro nel tempo all’elettrone. Le onde avanzate e ritardate si combinano per creare una "stretta di mano" tra le due particelle che, in un senso atemporale, determina il risultato dell’interazione nell’istante in cui l’elettrone inizia a fare l’offerta.

Come discusso da Price, questo tipo di approccio risolve il classico rompicapo quantistico, quello dell’elettrone di fronte a due buchi in uno schermo, "decidendo" quale buco attraversare. Gli esperimenti mostrano che, anche se un elettrone individuale può solo andare attraverso un buco, il suo comportamento è influenzato dal se o no il secondo buco sia chiuso o aperto. L’onda di offerta passa attraverso tutti e due i buchi, ma l’eco ritorna solo attraverso un buco, quello attraverso cui passa l’elettrone. Così il processo di stretta di mano prende in esame la presenza di entrambi i buchi, anche se l’elettrone attraversa soltanto uno di essi.

Molti fisici trovano queste idee ripugnanti, perché vanno contro il "buonsenso". Incoraggerebbero, per esempio, speculazioni sul tipo di quelle di Henry Stapp (si veda Science, XX August) sul fatto che la nostra mente potrebbe influenzare cose che sono già accadute. La potenza dell’approccio di Price sta nel fatto che offre un sistema per comprendere come il mondo possa includere un rapporto di causa ed effetto sia in avanti che all’indietro ad un livello fondamentale pur mostrando di avere una direzione unica da una prospettiva umana.

La sua argomentazione è complessa, ma in parole povere si riduce al fatto che la ragione per cui le cose che facciamo nel presente non sembrano aver alterato il passato sta nel fatto che il passato ha già preso in considerazione ciò che noi stiamo facendo! Se noi decidessimo di fare qualcosa di diverso, il passato già lo saprebbe… di modo che "dire che se noi supponiamo che il presente sia diverso, mentre il passato rimane lo stesso, seguirebbe che il passato è differente… non è vero, naturalmente, ma solo a livello logico. Non è richiesta alcuna asimmetria fisica per spiegarlo".

Per i più portati alla matematica, Price offre una discussione della famosa inequality di John Bell in cui due sistemi quantistici completamente separati sembrano essere connessi da quella che Albert Einstein chiamò una "azione spettrale a distanza ". L’azione a distanza è reale, in questo quadro, ed essenzialmente è il processo di stretta di mano di Cramer. Ma non c’è alcuna limitazione al libero arbitrio, secondo Price. Siamo liberi di prendere qualsiasi decisione ci piaccia e di fare qualsiasi azione scegliamo. Il passato già sa quali saranno queste decisioni, ma ciò non influenza la nostra libertà nel prenderle e "non dovremmo aspettarci di 'vedere' all’azione influenze all’indietro," il che dopotutto potrebbe essere una cattiva notizia per Stapp. "E’ il momento," dice Price, "che questo approccio rifiutato [alla meccanica quantistica] riceva quell’attenzione che così tanto merita."

 

Purché è possibile il viaggio temporale

I fisici hanno scoperto la legge di natura che previene i paradossi del viaggio temporale e perciò permette il viaggio nel tempo. E’ risultato che fosse la stessa legge che assicura il viaggio della luce in linea diretta e che rafforza la versione più esplicita della teoria quantistica, sviluppata mezzo secolo fa da Richard Feynman.

I relativisti hanno cercato di venire a patti col viaggio temporale nell’arco dell’ultimo decennio da quando Kip Thorne e i suoi colleghi al Caltech scoprirono (con loro grande sorpresa) che non c’era nulla nelle leggi della fisica (soprattutto nella teoria generale della relatività) che lo proibisse. Tra i differenti modi in cui le leggi permettono che esista una macchina temporale, quella che è stata studiata matematicamente in modo più estensivo è quella del "wormhole". Si tratta di una specie di tunnel attraverso lo spazio e il tempo che connette regioni differenti dell’Universo: differenti spazi e differenti tempi. Le due "bocche" del wormhole possono essere vicine l’una all’altra nello spazio, ma separate nel tempo, di modo che potrebbe essere usato come un tunnel temporale.

Costruire uno strumento del genere sarebbe molto difficile, comporterebbe la manipolazione dei buchi neri, ognuno con masse che sono molte volte superiori a quella del Sole. Ma è possibile pensare che potrebbero anche esistere naturalmente, sia su una scala del genere che su una scala microscopica.

La preoccupazione dei fisici sta nel fatto che questa cosa potrebbe far sorgere dei paradossi, una cosa a cui gli appassionati di fantascienza sono familiari. Per esempio un viaggiatore temporale potrebbe andare indietro nel tempo e causare accidentalmente (o anche in modo deliberato) la morte della propria nonna, cosicché non potrebbe mai nascere né la mamma del viaggiatore né il viaggiatore stesso. E’ difficile descrivere matematicamente le persone, ma il paradosso equivalente nei calcoli dei relativisti vede una palla da biliardo che entra in una bocca del wormhole, emerge nel passato dall’altra bocca e si scontra con l’altra se stessa che sta entrando nella prima bocca, di modo che viene deviata e non entra nel tunnel temporale. Ma, naturalmente, ci sono molti possibili viaggi "auto compatibili " attraverso il tunnel in cui le due versioni della palla da biliardo non si disturbano una con l’altra.

Se il viaggio temporale è realmente possibile (e dopo un decennio di studi intensivi tutte le prove affermano che lo sia) si pensa che dovrebbe esserci una legge di natura per prevenire il sorgere di tali paradossi e per permettere i viaggi auto compatibili attraverso il tempo. Igor Novikov, che si trova presso l’Istituto P. N. Lebedev di Mosca e al NORDITA (Nordic Institute for Theoretical Physics) di Copenhagen, è stato il primo nel 1989 a sottolineare il bisogno di un "Principio di Auto Compatibilità" di questo tipo (Soviet Physics JETP, vol 68 p 439). Ora, lavorando con colleghi in Danimarca, Canada, Russia e Svizzera, ha scoperto le basi fisiche per tale principio.

Ha a che fare con qualcosa conosciuto come Principio di azione minima ed è conosciuto, in una forma o in un’altra, fin dagli inizi del diciassettesimo secolo. Descrive le traiettorie delle cose, come il cammino di un raggio di luce da A a B, o il volo di una palla lanciata attraverso una finestra da un piano alto. Ed ora sembra anche la traiettoria di una palla da biliardo attraverso un tunnel temporale. Azione, in questo senso, sta nel misurare sia l’energia impiegata nell’attraversare il sentiero che il tempo impiegato. Per la luce (che è sempre un caso speciale), tutto si riduce al tempo soltanto, cosicché il principio di azione minima diventa il principio di tempo minimo, che indica il perché la luce viaggi in linea diritta.

Si può vedere come funziona questo principio quando una luce da una sorgente nell’aria entra in un blocco di vetro, dove viaggia ad una velocità minore di quella nell’aria. Allo scopo di andare dalla fonte A fuori dal vetro al punto B interno al vetro nel più breve tempo passibile, la luce deve viaggiare in linea retta fino al bordo del vetro, poi deviare di un certo angolo e poi viaggiare in un’altra linea retta (ad una velocità più bassa) fino al punto B. Viaggiare per un qualsiasi percorso diverso impiegherebbe più tempo.

L’azione è una proprietà dell’intero percorso e in qualche modo la luce (o la "natura") sa sempre come scegliere il sentiero più economico o più semplice per raggiungere i propri fini. In un modo simile il principio di azione minima può essere usato per descrivere l’intero percorso curvo della palla lanciata attraverso una finestra, una volta che venga specificato il tempo per il percorso. Anche se la palla può essere lanciata a velocità differenti su traiettorie differenti (più alte e più lente, o più piatte e più veloci) e va comunque attraverso la finestra, sono possibili solo traiettorie che soddisfino il Principio dell’azione minima. Novikov e i suoi colleghi hanno applicato lo stesso principio alle "traiettorie" delle palle di biliardo attorno all’anello temporale, sia con che senza il caso di "auto collisione" che porta ai paradossi. In un tour de force matematico hanno mostrato che in entrambi i casi solo soluzioni auto compatibili delle equazioni soddisfacevano al principio di azione minima o, stando alle loro parole, "l’intero insieme di traiettorie classiche che sono auto compatibili globalmente si può ricuperare semplicemente imponendo il principio di azione minima" (NORDITA Preprint, number 95/49A).

La parola "classico" in questa connessione indica che non hanno ancora provato ad includere le leggi della teoria quantistica nei loro calcoli. Ma non c’è ragione di pensare che ciò possa alterare le conclusioni. Feynman, che era incantato dal principio di azione minima, formulò la fisica quantistica interamente sulle basi di esso, usando quella che è conosciuta come la "somma delle storie" o formulazione del "sentiero integrale", perché, come un raggio di luce apparentemente fiuta il percorso migliore da A a B, tiene conto di tutte le possibili traiettorie nel selezionare la più efficace.

Così l’auto compatibilità è una conseguenza del Principio di azione minima e si può pensare che la natura aborrisca un paradosso da viaggio temporale. Il che rimuove l’ultima obiezione dei fisici al principio del viaggio temporale, e passa la mano agli ingegneri per continuare il lavoro di costruzione di una macchina del tempo.

 

E' possibile il viaggio nel tempo?

In uno degli sviluppi più sfrenati degli ultimi decenni della scienza più seria i ricercatori dalla California a Mosca si sono messi ad investigare il viaggio nel tempo. Fino ad ora non si sono messi a costruire macchinari del tipo di TARDIS nei loro laboratori, ma hanno realizzato che secondo le equazioni della teoria generale della relatività di Albert Einstein (la migliore teoria su tempo e spazio che abbiamo), non c’è niente nelle leggi della fisica a vietare il viaggio nel tempo. Potrebbe essere estremamente difficile metterlo in pratica, ma non è impossibile.

Suona come fantascienza, ma la cosa è presa in modo così serio dai relativisti che alcuni di loro hanno proposto che ci deve essere una legge di natura per prevenire il viaggio temporale e di conseguenza prevenire i paradossi che ne conseguono, anche se nessuno ha una benché minima idea su come possa operare una tale legge. Il paradosso classico, naturalmente, accade quando una persona viaggia indietro nel tempo e fa qualche cosa per prevenire la propria nascita (uccidere la propria nonna da bambina, nell’esempio più sanguinario, o semplicemente accertandosi che i propri genitori non si mettano mai assieme, come in Ritorno al futuro). Questo va contro ogni logica, dicono gli scettici e perciò deve esserci una legge che gli si opponga. Più o meno si tratta dello stesso argomento che era usato per provare che il viaggio spaziale è impossibile.

E allora, che cosa ci dicono le equazioni di Einstein se spinte al limite? Come ci si può aspettare la possibilità del viaggio temporale coinvolge quelli che sono gli oggetti più estremi, i buchi neri. E poiché la teoria di Einstein è una teoria dello spazio e del tempo, non dovrebbe esserci sorpresa alcuna se i buchi neri offrono, in principio, un modo per viaggiare attraverso lo spazio, ma anche attraverso il tempo. Un buco nero comune, comunque, non funzionerebbe. Se un tale buco nero si fosse formato da un grumo di materiale non rotante, se ne starebbe semplicemente nello spazio ad inghiottire tutto ciò che gli arriva a tiro. Al cuore di un tale buco nero c’è un punto conosciuto come singolarità, un punto dove spazio e tempo cessano di esistere e la materia è compressa fino ad una densità infinita. Trenta anni fa Roger Penrose (attualmente alla Oxford University) ha provato che qualsiasi cosa cadesse in un buco nero di questo tipo sarebbe transitata nella singolarità dalla sua spinta gravitazionale e tolta di.

Ma negli anni ‘60 il matematico neozelandese Roy Kerr scoprì che le cose sono differenti se il buco nero è rotante. Si forma pur sempre una singolarità, ma sotto forma di anello, come la menta col buco. In principio sarebbe possibile immergersi in un buco nero di questo tipo e passare attraverso l’anello per emergere in un altro luogo ed in un altro tempo. Questa "soluzione Kerr" è stato il primo esempio matematico di macchina del tempo, ma allora nessuno la prese sul serio. A quel tempo non ci fu quasi nessuno che prendesse seriamente l’idea dei buchi neri e l’interesse nella soluzione Kerr si sviluppò solo negli anni ‘70, dopo che gli astronomi scoprirono quelli che sembravano essere dei veri buchi neri, sia nella nostra Via Lattea che nel cuore di altre galassie.

Ciò portò ad una proliferazione di pubblicazioni popolari che dichiaravano, per il disappunto dei relativisti, che il viaggio nel tempo poteva essere possibile. Negli anni’80, comunque, Kip Thorne, del CalTech (uno dei principali esperti al mondo sulla teoria generale della relatività) ed i suoi colleghi si misero a provare una volta per tutte che tali sciocchezze non erano ammesse realmente dalle equazioni di Einstein. Studiarono la situazione da tutte le parti ma furono costretti alla conclusione non tanto gradita che non c’era realmente nulla nelle equazioni che vietasse il viaggio nel tempo ammesso che si abbia la tecnologia per manipolare i buchi neri (e questa è una grossa clausola restrittiva). Accanto alla soluzione Kerr sono permessi altri tipi di macchine del tempo da buchi neri, incluse combinazioni descritte con efficace vivacità come "wormhole", in cui un buco nero in un determinato luogo e tempo è connesso ad un buco nero in un altro luogo e un altro tempo (o allo stesso luogo in un tempo differente) attraverso una "gola". Thorne ha descritto alcune di queste possibilità in un libro recente, Black Holes and Time Warps (Picador), che è stracolmo di informazioni ma tutt’altro che di facile lettura. Ora, Michio Kaku, un professore di fisica di New York, si è presentato con una variazione sul tema più accessibile col suo libro Hyperspace (Oxford UP), che (a differenza del libro di Thorne) include almeno una discussione sul contributo di ricercatori come Robert Heinlein nello studio del viaggio temporale. Il Big Bang, la teoria stringa, i buchi neri e i baby-universi, tutti trovano qui menzione, ma è il capitolo sul come costruire una macchina del tempo che fornisce la lettura più affascinante.

"La maggior parte degli scienziati, che non hanno studiato seriamente le equazioni di Einstein," afferma Kaku, "liquidano il viaggio temporale come stupidaggini". E poi continua con lo spiegare perché quei pochi scienziati che hanno studiato seriamente le equazioni di Einstein siano meno categorici. La pagina che preferiamo è quella riempita da un diagramma che mostra lo strano alberi genealogico di un individuo che cerca di essere sia il padre di se stesso/a che la madre di se stesso/a, basato sul racconto di Heinlein "All you zombies". E la descrizione di Kaku di una macchina del tempo è qualcosa che avrebbe fatto felici i fan del Dr Who e di H.G.:

…consiste di due camere con ognuna che contiene due piatti di metallo paralleli. Gli intensi campi elettrici creati tra ogni coppia di piatti (molto più grandi di qualsiasi cosa possibile con l’odierna tecnologia) lacera la trama dello spaziotempo creando un buco nello spazio che collega le due camere.

Avvantaggiandosi della teoria speciale della relatività di Einstein, che afferma che il tempo scorre lento per un oggetto in movimento, una delle due camere viene poi spedita in un lungo e veloce viaggio e poi riportata indietro: il tempo trascorrerebbe in modo diverso ai due capi del wormhole, [e] e chiunque cadrebbe in uno dei capi del wormhole verrebbe spinto istantaneamente nel passato o nel futuro [allorché emergerebbe dall’altro capo].

E tutto questo, è bene sottolineare, è stato pubblicato da scienziati seri su riviste rispettabili del calibro di Physical Review Letters (non ci credete? Controllate il volume 61, pagina 1446). Comunque, come si sarà notato, la tecnologia richiesta è sorprendente, in quanto richiede di prendere ciò che ammonta ad un buco nero per un viaggio attraverso lo spazio ad una frazione che si avvicina alla velocità della luce. Non abbiamo mai detto che sarebbe stata una cosa facile! E allora come si aggirano i paradossi? Gli scienziati hanno una risposta anche a questo. E’ ovvio se ci si pensa sopra, tutto ciò che si deve fare è di aggiungere un contributo giudizioso dalla teoria quantistica al viaggio temporale permesso dalla teoria della relatività. Fintanto che si è un esperto in entrambe le teorie si può trovare un modo per evitare i paradossi.

Funziona in questo modo. Secondo un’interpretazione della fisica quantistica (ci sono molte interpretazioni e nessuno sa qual è quella "giusta", se mai ne esista una), ogni volta che un oggetto quantistico, come un elettrone, è di fronte ad una scelta, il mondo si divide per permettergli di accettare ognuna delle possibilità offerte. Nell’esempio più semplice l’elettrone si potrebbe trovare di fronte ad una parete con due buchi, di modo che potrebbe attraversare un buco o un altro. L’Universo si divide in modo che in una delle versioni della realtà (un gruppo di dimensioni relative) attraversa il buco sulla sinistra, mentre nell’altra va attraverso il buco sulla destra. Spinta al limite questa interpretazione afferma che l’Universo è scisso in copie tendenti all’infinito di se stesso, tutte variazioni su un tema di base, in cui tutti i risultati possibili di tutti i possibili "esperimenti" devono accadere in qualche luogo del "multiverso". C’è quindi, per esempio, un Universo in cui i laburisti sono al governo da 15 anni e si trovano sotto la minaccia di un risorgente partito Tory guidato dal giovane e vibrante John Major.

E come risolve tutto ciò i paradossi? Così. Si supponga qualcuno che torna indietro nel tempo per uccidere la propria nonna da bambina. In questo quadro del multiverso si è recato ad un punto di biforcazione della storia. Dopo aver ucciso la nonna torna in avanti nel tempo, ma in un diverso ramo del multiverso. In Questo ramo della realtà non è mai nato, ma non c’è nessun paradosso in quanto nell’universo della porta accanto la nonna è viva e vegeta cosicché l’assassino è potuto nascere ed è potuto andare indietro nel tempo per commettere il suo misfatto!

Ancora una volta sembra fantascienza e ancora una volta gli scrittori di fantascienza sono arrivati per primi. Ma questa idea degli universi paralleli e delle storie alternate come soluzione ai paradossi del viaggio del tempo si sta prendendo in modo serio da alcuni (anche se non molti) ricercatori, incluso David Deutsch, ad Oxford. La loro ricerca riguarda sia il tempo che le dimensioni relative nello spazio. Non è che se ne potrebbe ricavare un simpatico acronimo: TARDIS (time and relative dimensions in space)?

 

 

Come va inteso lo spazio-tempo


Questo breve articolo vuole essere una semplice spiegazione dei concetti fondamentali della relatività speciale, così come Einstein la formalizzò nel famoso articolo apparso nel 1905 "Sull'elettrodinamica dei corpi in movimento".

Innanzi tutto bisogna dire che il panorama della fisica di fine ottocento rivelava già le difficoltà dei concetti di spazio e tempo assoluti di Newton; in particolare si può pensare all'esperimento di Michelson, alla contrazione del lunghezze scoperta da Lorentz e alle teorie di Poincarè il quale già stava enunciando il principio di costanza della velocità della luce nel vuoto. Su un'altra strada stava procedendo Einstein, indipendentemente dal mondo accademico del suo tempo (lui lavorava all'ufficio brevetti al momento dell'articolo), il quale tentava di uscire da certe difficoltà che sorgevano nel conciliare la teoria elettrodinamica di Maxwell la quale provocava certe asimmetrie che gli stavano strette come ci rivela lui stesso all'inizio dell'articolo:

«It is known that Maxwell's electrodynamic - as usually understood at the present time - when applied to moving bodies, leads to asymmetries wich do not appear to be inherent in the phenomena»

È inoltre noto un episodio, narrato da Abram Pais nella sua biografia di Einstein, "Sottile è il signore", in cui Einstein intervistato vari decenni dopo la pubblicazione del suo articolo rivelava di non ricordarsi se, al momento di ingegnare la sua teoria, era al corrente del fallimento dell'esperimento di Michelson e Morley per rivelare il movimento della Terra nel presunto etere. Il fatto in questione è significativo perché rivela la tendenza di Einstein a formulare le sue idee su basi puramente logico-deduttive, indipendentemente dagli esperimenti; sono infatti famosi i suoi "esperimenti mentali". Passiamo ora ad esaminare in dettaglio la teoria della relatività ristretta, la quale si occupa esclusivamente di trattare sistemi di riferimento in moto uniforme, lontano da qualsiasi tipo di perturbazioni esterne come possono essere i campi gravitazionali. I concetti sono enormemente semplici e tutti i fenomeni relativistici possono essere dedotti matematicamente esclusivamente dai due postulati principali:

1. La velocità della luce nel vuoto è costante, indipendentemente dall'osservatore inerziale che la misura;
2. Le leggi della natura devono potersi esprimere nella stessa forma per tutti gli osservatori in moto rettilineo uniforme relativo tra loro (osservatori inerziali).

Una volta presupposto ciò possiamo ricavare tutte le fondamentali e più note conseguenze. Innanzitutto vediamo che le trasformazioni di Galileo che legano osservatori inerziali tra loro nella meccanica classica sono inconciliabili con i 2 postulati della relatività.

x’=x+wt
t’=t
v’=v+w

dove "w" è la velocità del sistema di riferimento X' in moto relativo al riferimento X. Infatti se consideriamo un emettitore si luce solidale col riferimento X' il quale si muove a velocità w rispetto a X fermo, quando il fotone di luce è emesso l'osservatore nel riferimento X' rivelerà una velocità della luce pari a c, e questo è corretto, ma l'osservatore nel riferimento X vedrà , secondo la formula di Galileo, la luce muoversi a velocità w+c>c il che va contro il primo postulato della relatività. Dobbiamo quindi assumere che il fatto che c deve essere costante sia per X che per X' ci obbliga a dover cercare delle nuove trasformazioni che leghino le coordinate spazio e tempo misurate in un riferimento con quelle di un altro sistema che si muove rispetto al primo di moto rettilineo e uniforme. Che caratteristiche matematiche principali devono avere queste nuove trasformazioni che cerchiamo? Se pensiamo allo spazio-tempo come un grafico cartesiano in cui lo spazio è l'ascissa e il tempo l'ordinata (convenzione contraria a quella della meccanica ordinaria, ma è solo una convenzione senza nessun significato fisico!) ci accorgiamo che i moti rettilinei uniformi sono descritti da rette, per ogni riferimento (x,t):

x-vt=0

Le trasformazioni che cerchiamo ovviamente devono trasformare moti rettilinei uniformi in moti rettilinei uniformi, e le trasformazioni che mandano rette in rette sono le trasformazioni lineari; quindi abbiamo assodato il fatto che le nostre trasformazioni devono essere lineari. Questo è già un gran passo avanti perché in questa ipotesi è contenuto il secondo postulato che dice che le leggi della fisica devono essere le stesse per i due riferimenti (in realtà per tutti riferimenti!) e tutti devono descrivere questi moti con delle rette. Traduciamo matematicamente ora la condizione che la luce viaggi a velocità c rispetto ad entrambi i riferimenti (si pone per semplicità c=1 a costo di misurare i tempi in metri: 1secondo = 1metro "tempo"):

x’± t’=0 se e solo se x± t=0

e questo è possibile se

x’± t’= l ± (w)( x± t)

dove le l ± sono a priori dipendenti dalla velocità con cui X' si muove rispetto a X. Da queste due equazioni ricaviamo (x',t') in funzione i (x,t) ottenendo

t’=a(t-wx)
x’=a(x-wt)

dove a è un nuovo coefficiente dipendente linearmente dalle l ± ; ora imponiamo che fisicamente che una trasformazione L con velocità w sia equivalente alla trasformazione con w inversa, cioè

L-w =Lw-1

Facendo i calcoli si ricava che

a:= g =1/ Ö 1-w2/c2

Ora è riapparso c perché questa è la forma che di solito si dà a tale coefficiente. Scriviamo dunque il risultato, che sono le trasformazioni di Lorentz:

t’= g (t-wx/c2)
x’=g (x-wt)

Ora analizziamo cosa comportano fisicamente queste nuove trasformazioni di coordinate. La prima cosa è che il tempo di un riferimento non è più, come per Galileo, lo stesso dell'altro; come conseguenza di ciò si ha che il tempo nel sistema X' scorre in modo diverso da quello di X e tra i due tempi vale la relazione t=g t'. Un modo brillante per ricavarlo è quello di descrivere il moto di un orologio a specchio in cui un emettitore E di luce fa partire un raggio che viene riflesso da uno specchio S a distanza L' e che poi ritorna all'emettitore:


Chiamiamo questo riferimento K' e mettiamolo in moto rettilineo uniforme con velocità u rispetto ad un riferimento solidale con un osservatore fisso K. K osserverà il percorso del raggio di luce così:
Visto da K la luce percorre a velocità c il tratto 2L (andata e ritorno dallo specchio:Eà Sà E) e sussiste la relazione cD t'=2L. Invece l'osservatore fermo a terra K vede uno spazio di percorrimento della luce maggiore ma sempre alla stessa
velocità c:

L=(L’2+u2D t2/4)1/2 = 2(D t’2+ u2D t2/c2)1/2

Ricavando D t da questa equazione otteniamo quello che volevamo dimostrare:

D t =(1- u2/c2) 1/2D t’ = g D t’

cioè il tempo del riferimento mobile K', misurato da K scorre più lentamente! Questo è il noto fenomeno della dilatazione temporale cui sono soggetti solo corpi che viaggino ad una velocità prossima a quella della luce; infatti è importante notare che se la velocità u è trascurabile in confronto a c, cioè u/c<<1, allora g =1 con ottima approssimazione e non si ha contrazione, in più le trasformazioni di Lorentz si riducono a quelle di Galileo scoprendo così un importante fatto, che LA MECCANICA RELATIVISTICA SI RIDUCE A QUELLA NEWTONIANA SE LA VELOCITA' DEI CORPI IN GIOCO E' DI MOLTO INFERIORE ALLA VELOCITA' DELLA LUCE.

Siccome tutti gli esperimenti di meccanica classica svolti nei secoli fino all'ottocento coinvolgevano velocità irrisorie rispetto a quella della luce possiamo dire che Newton aveva ragione! Un osservazione fondamentale però è necessario fare: l'orologio in K', visto dal riferimento mobile K', va allo stesso ritmo di quello in K, visto dal riferimento K; ed è solo il ritmo di un orologio in K', misurato dall'osservatore in K, a variare! Un osservatore in moto su K' non si accorgerà di niente, lui vedrà scorrere il SUO tempo allo stesso ritmo di quando è a terra. Una seconda osservazione è di carattere più filosofico: notate che il primo postulato è quello veramente nuovo, perché il principio d'inerzia (secondo postulato) valeva già in meccanica classica. Quindi è notevole come l'aggiunta di una sola condizione in più (costanza della velocità della luce) modifichi radicalmente le concezioni dei fenomeni cinematici!

PRINCIPIO D'INERZIA (CLASSICO)+COSTANZA DELLA VELOCITA' DELLA LUCE=RELATIVITA' SPECIALE

Quello che è ancora più sconvolgente come novità è che due eventi "contemporanei" per un osservatore inerziale non sono più "contemporanei" per un altro osservatore in moto relativo ad esso. Anzi il concetto di contemporaneità stesso, riferito a due osservatori inerziali diversi, non ha più senso ma ha senso solo parlare di intervalli di tempo misurati dai singoli osservatori. Che un evento avviene nello stesso istante di un altro è un'affermazione insensata. Per capire questo fatto cruciale è inutile, a mio parere, tentare di pensare come potervi comunicare ad un osservatore in moto che tempo si sta misurando usando la sincronizzazione degli orologi, perché c'è un modo molto semplice di vederlo, ed è quello di usare i soliti diagrammi x-t. Per farlo però dobbiamo rappresentare in uno stesso grafico sia gli assi (x,t) che quelli (x',t'); le due origini dovranno coincidere e gli assi primati non saranno più ortogonali nel senso euclideo, ma saranno sempre rette inclinate rispetto agli assi originari: questo è quello che geometricamente dicono le trasformazioni di Lorentz. Immaginiamo ora un evento S con coordinate (XS,TS) nel riferimento K e (X’S, T’S) nel riferimento K'; è lo stesso evento visto da due riferimenti diversi. Analogamente per un secondo evento S1 avremo analoghe coordinate. Supponiamo che nel riferimento K i due eventi siano contemporanei (in un riferimento fissato ha senso parlare di contemporaneità); si vede a colpo che questi eventi ,come misurati da K', non lo sono più! Tutto quello che si può immaginare in relatività lo si può dedurre da questi semplici grafici.


Il secondo effetto collegato direttamente alle trasformazioni di Lorentz è la contrazione delle lunghezze. La si potrebbe ottenere con un ragionamento analogo a quello di prima sugli orologi a specchio (ruotando quello di prima di 90 gradi e mettendolo in moto), ma ora ne scelgo uno più diretto che fa uso solo di manipolazioni matematiche delle trasformazioni. Consideriamo un evento S situato lungo l'asse x' dell'osservatore K' in moto rispetto a K:


Se l'unità spaziale per l'osservatore K' è xS' come sarà vista la stessa unità dall'osservatore fermo K? Per questo particolare evento dobbiamo porre t'=0 e vedere cosa succede nelle trasformazioni:

x’S = g (xS-wtS)
0=g (tS-wxS/c2) allora tS=wxS/ c2

Sostituendo nella prima equazione si ha:

x’S = g xS(1- w2/c2) = g xSg -2 = g -1 xS

e perciò la relazione che cercavamo è la seguente:

x’S = g -1xS

la quale ci dice che, poiché gamma è un numero minore di 1, K' misura più breve l'unità di lunghezza per K rispetto alla sua, come a dire che K' vede le normali lunghezze di K che vengono contratte. Notare che per la particolare dipendenza di gamma da w che l'effetto aumenta indefinitamente al crescere di w verso c, sì perché non abbiamo ancora detto (e lo giustificheremo più avanti) che un'altra conseguenza delle trasformazioni in gioco è che, poiché gamma deve essere una quantità reale, w deve essere minore strettamente di c; in particolare avviene che per particelle prive di massa la velocità massima raggiungibile è proprio c, mentre per particelle massive c è un limite irraggiungibile ed invalicabile. A parte questo fatto generale bisogna sempre tenere conto che, come nella dilatazione dei tempi, l'osservatore K non vede affatto gli oggetti del suo mondo contrarsi ma è K' (che relativamente a lui vede K allontanarsi a velocità w) a misurare le unità di lunghezza di K più corte rispetto alle sue unità. Così le lunghezze misurate da K nel suo riferimento e quelle misurate da K' nel suo riferimento hanno le stesse unità di misura e K non si accorgerà mai che le sue unità sono contratte!
Ora entriamo più in dettagli nell'analisi geometrica dello spazio-tempo che esce da questa descrizione della cinematica. Sappiamo dalla ordinaria geometria euclidea, che viene insegnata fin dalle scuole elementari, che in un riferimento cartesiano la lunghezza di un segmento al quadrato è data dalla SOMMA dei quadrati delle singole coordinate (teorema di Pitagora), come appare evidente dal seguente grafico.


Visto che più sopra abbiamo usato grafici in cui al posto della Y compariva il tempo ci viene il sospetto che la nuova metrica dello spazio-tempo (x,t) possa essere S2 = x2+t2. Se così fosse dovremmo trovare che questa particolare metrica rimane invariata (cioè S è quello che si chiama un invariate metrico) sotto l'azione delle trasformazioni di Lorentz; purtroppo non è così, e quindi possiamo concludere che la geometria dello spazio tempo non è euclidea; questo può sembrare sconvolgente se pensate che l'aggiunta della sola coordinata temporale alle tre dimensioni spaziali in aggiunta al primo postulato ha modificato in maniera radicale la geometria dello spazio tempo. Ora dobbiamo vedere (x,y,z,t) come le grandezze che descrivono i fenomeni e la lunghezza di un evento, cioè la sua distanza dall'origine degli assi nel grafico cartesiano usato prima, NON sarà misurata più con la stessa formula del teorema di Pitagora estesa a quattro dimensioni. Perché siamo sicuri che la metrica scritta sopra nella forma euclidea non può andar bene? Perché è necessaria una metrica che rimanga invariata sotto l'azione delle trasformazioni di Lorentz; questo appare chiaro se pensiamo ancora una volta al caso euclideo: qui ci sono delle trasformazioni che lasciano inalterata la forma della metrica, cioè le rotazioni: se nel sistema non ruotato la lunghezza di un segmento è data dalla radice della somma dei quadrati delle coordinate in tale riferimento, allora nel sistema ruotato la stessa lunghezza sarà ancora la radice della somma dei quadrati (quadrati di nuove distanze ora, cioè le coordinate rel riferimento ruotato). Così per analogia si dice che le trasformazioni di Lorentz sono "rotazioni" nello spazio tempo e la metrica che lasciano invariata è la seguente:

s2=c2t2-x2

Non sono però rotazioni come siamo abituati a pensare nel nostro spazio ordinario; infatti d'ora in poi bisogna pensare all'equivalenza "rotazione=lasciare invariata la metrica" ed è il lasciare invariata la metrica che caratterizza quelle che si chiamano rotazioni o meglio dette isometrie (iso=lasciare invariata, metria= la metrica). Le rotazioni dello spazio euclideo lasciano invariato il teorema di Pitagora: si dice che il teorema di Pitagora è invariante per rotazioni nello spazio euclideo. Queste cose sono banali a livello dell'intuizione che la geometria insegnata nelle scuole riesce a dare, ma la sua formulazione generale in base a proprietà metriche astratte è sempre un po' difficoltosa finché non la si visualizza:


Così siamo arrivati a concludere che le trasformazioni di Lorentz lasciano invariata la metrica scritta sopra nel riquadro. Ora se nella geometria euclidea il teorema di Pitagora ha quella forma è perché usiamo coordinate ortogonali; nella nostra nuova geometria i sistemi inerziali sono i riferimenti "ortogonali" dello spazio-tempo cioè quelli sui quali, quando applichiamo le tresformazioni di Lorentz, la forma della metrica non cambia. Resta sempre da non confondere ortogonale nello spazio tempo relativistico con ortogonale nel caso euclideo, infatti nello spazio-tempo ortogonaler non significa ad angolo retto; due vettori euclidei sono ortogonali se il loro prodotto scalare è nullo; in relatività due vettori (eventi) sono ortogonali se s è nullo, intendendo con s l'intervallo tra i due eventi calcolato con la nuova metrica dello spazio-tempo. Dobbiamo perciò intendere ora diversamente il concetto di lunghezza: in relatività la lunghezza tiene conto anche del tempo mentre in geometria euclidea no. Così un raggio di luce avrà lunghezza nulla nello spazio-tempo perché x/t=c e questa condizione annulla la s.
Passiamo ora a discutere l'aspetto della relatività per il quale Einstein è divenuto centro di controverse polemiche, cioè quello dell'equivalenza della massa con l'energia che porta alla formula nota a tutti E = mg c2, che quelli fuori dall'ambito scientifico citano a raffica senza il gamma e non si rendono conto perciò del significato profondo di questa equivalenza; proprio per questo ora cercheremo di chiarire ogni dubbio (mi rivolgo in particolare ai filosofi).
Mi rendo conto delle difficoltà che ora potranno sorgere nel trattare questo argomento perché ora il formalismo matematico si fa meno intuitivo e più lontano dalla preparazione delle scuole superiori, ma d'altro canto sono convinto che per fugare dubbi di principio sia meglio adottare una matematica il più possibile consona a quello che si sta dicendo (potrei spiegare le stesse cose in maniera più fisica e intuitiva ma il mio scopo è mostrare la potenza dello strumento matematico e della mente che lo ha utilizzato).

Per fare ciò dobbiamo definire che cos'è la LAGRANGIANA: in meccanica classica esiste un procedimento che ha basi teoriche molto profonde ma che permette di calcolarsi le equazioni del moto di punti materiali legati da qualsiasi tipo di forza (perché derivi da un potenziale) in maniera mnemonica e meccanica ed è quello di scrivere la Lagrangina del sistema e di combinarne opportunamente le sue derivate (le derivate sono passaggi elementari che chiunque sa fare dopo un liceo scientifico); la lagrangian non è altro che la differenza tra l'energia cinetica e quella potenziale:

L(x,v)=T(v)-V(x)

espressa in funzione della coordinata spaziale x e della velocità v del punto materiale trattate come variabili indipendenti. Poi si definisce l'azione che è un funzionale sta volta, cioè agisce su delle funzioni producendo numeri (mentre la lagrangiana è una funzione scalare che prende vettori e li trasforma in numeri) come l'integrale sul tempo della lagrangiana espressa in funzione ora delle traiettorie x(t) e delle loro derivate dx(t)/dt:

S[x(t),v(t)]:=ò L(x(t),v(t))dt Î Â

Data in generale un'azione noi possiamo riprodurre le equazioni del moto col vantaggio che questa volta a produrle non è più un procedimento di derivazione come nella lagrangiana (che come noto dipende dalle coordinate scelte) ma un nuovo principio cioè il principio variazionale indipendente dalle coordinate scelte il quale dice che le traiettorie del moto sono quelle che rendono stazionaria l'azione cioè (come nello studio di funzioni per trovare i punti stazionari si uguaglia a zero la derivata) basta calcolare la derivata funzionale di S e porla uguale a zero:

d S/d t = o

e magicamente saltano fuori le stesse equazioni che si avevano con la lagrangiana con il vantaggio che ora stiamo lavorando indipendentemente dalle coordinate perché il fatto che questa derivata sia nulla in un sistema di riferimento implica che lo sia in qualsiasi altro cioè siamo in condizioni di porci una solida base per postulare la lagrangiana relativistica (sì perché quello che si fa effettivamente è POSTULARLA):
quello che si fa è partire dal principio di geometrizzazione del moto, un po' come si è fatto all'inizio con le rette e le trasformazioni, cioè caratterizzare i moti liberi nello spazio tempo come quelle traiettorie che rendono stazionario un certo funzionale d'azione A; quale sarà A? A è proprio l'integrale di quello che prima abbiamo definito come l'invariante principale relativistico, cioè l'intervallo ds (questa volta dato in forma differenziale) con delle accortezze: per descrivere i moti nello spazio-tempo non si fa più come in meccanica classica dando le coordinate spaziali in funzione del tempo ma si danno le quattro coorinate spazio-temporali in funzione del tempo proprio s (cioè l'invariante metrico) cioè si dice che si dà una parametrizzazione del moto con il parametro naturale s legato al tempo da:

ds = cg -1dt

Ora in geometria si caratterizzano le rette come gli estremali di un certo funzionale che è proprio l'integrale in dt dell'enegria cinetica classica ovvero la lunghezza euclidea (infatti tra due punti nel piano euclideo passano infinite curve tra cui le rette sono quelle con lunghezza più corta); così si fa in relatività: si caratterizzano i moti rettilinei uniformi come gli estremali della lunghezza relativistica che abbiamo visto essere l'intervallo invariante cioè possiamo verificare che in effetti d A/d t=0 implica il moto rettilineo uniforme:

A = -mc2òÖ (1-v2/c2)dt

Ora per analogia con l'azione classica S di prima individuiamo quello che cercavamo la lagrangiana relativistica che sarebbe la funzione integrando:

Lrel (v) = -mc2Ö (1-v2/c2)

con la particolarità (propria solo dei moti rettilinei uniformi) che la L non dipende dalla posizione x, questo essendo il cosiddetto principio di isotropia dello spazio cioè lo spazio indifferentemente dalla posizione produce moti rettilinei uniformi per tutti quei punti non soggetti a forze. Ora abbiamo la lagrangiana; uno si chiede : dalla lagrangiana si calcolano le equazioni del moto, ma noi sappiamo già quali sono, allora che necessità c'era di trovare la lagrangiana? Il discorso è sottile e allo stesso tempo fondamentale infatti quello che si cerca di fare in una teoria è di sviscerarne il più possibile gli aspetti più generali e il principio d'azione è uno tra i più generali della fisica; con un principio del genere uno è in grado di stabilire proprietà invarianti degli enti che sta studiando e produrre generalizzazioni e confronti con altri formalismi.
Quello però per cui abbiamo calcolato L qui è per avere un'espressione dell'energia relativistica; una volta infatti che si ha L basta fare dei semplici calcoli dai quali si ricava direttamente l'energia totale relativistica senza fare discorsi sui moti delle particelle in analogia a qualli classici. Non diamo la giustificazione della formula ma diciamo solo che l'energia è:

E = pv-L(p,x)

dove p è il momento relativistico ed è

p = dL/dv = mg v2

Ora se si fa il calcolo esplicito di E si trova appunto mg c2 . Diciamo che se la velocità v è molto minore di c allora dobbiamo ricondurci all'energia classica e questo è quello che effettivamente accade però con una sorpresa: ci ritroviamo un termine aggiuntivo costante all'energia cinetica classica cioè la cosiddetta energia a riposo; questa energia è quella che ha una particella ferma non soggetta a forze e la cosa sconvolgente e nuova è che essa non è nulla come dovrebbe essere in meccanica classica! Questa energia è appunto mc2 dove non c'è il gamma ed è l'energia che una particella ferma ha, questa è facilmente convertibile in altre forme per produrre energia nucleare. Va osservata ora la questione fondamentale cioè che per una particella "ferma" noi dalla sua massa possiamo trarre energia senza metterla in moto (cosa che in fisica classica non era possibile) solo facendola collidere con altre particelle nel cui urto sparisce della massa e nasce dell'energia pura; poiché c'è di mezzo la velocità della luce al quadrato, che è dell'ordine di 1016, la conversione è molto alta e basta una piccolissima massa (per esempio dei protoni) per produrre un'energia osservabile e devastante. Ora dobbiamo rivedere il principio di conservazione dell'energia modificandolo rispetto a quello classico, dicendo che ora non è più solo la somma di T e V (energia potenziale) a conservarsi ma va aggiunta anche l'energia di massa a riposo per riequilibrare i bilanci delle reazioni nucleari; però l'espressione dell'energia totale di una particella relativistica è sostanzialmente diversa da quella classica e quindi non basta aggiungere letteralmente mc2 a T+V. L'espressione di tale energia per una particella di carica q immersa in un potenziale V è la seguente:

E = Ö (m2c4+p2c2)+qV(x)  dove p è il momento relativistico della particella.

 

 

Spazio-tempo di Minkowski

l'enciclopedia libera. Vai a: Navigazione, cerca Lo spazio-tempo di Minkowski (M4 o semplicemente M) è una 4-varietà metrica a curvatura nulla che prende il nome del suo scopritore, il matematico tedesco Hermann Minkowski.

Fino all'epoca pre-einsteniana lo spazio tridimensionale era tenuto ben distinto dal tempo ed entrabi erano considerati assoluti. I lavori di Jules-Henri Poincaré, Lorentz e, soprattutto, la relatività speciale (1905) di Albert Einstein dimostrarono che invece lo spazio ed il tempo sono indissolubilmente legati tra loro. Il nostro universo, che era rappresentato da uno spazio R3, cioè a 3 dimensioni, e dal tempo, diviene, con l'avvento della relatività speciale, uno spazio-tempo R4 (o anche R1,3) cioè a 4 dimensioni.

Nel 1907 Hermann Minkowski si dedicò allo studio di questa nuova entità 4-dimensionale dandole un appropriato formalismo matematico che verrà descritto più avanti.

Hermann MinkowskiLo spazio-tempo di Minkowski descrive eccellentemente la nostra realtà quotidiana ma non quella cosmologica perché non tiene conto della curvatura dello spazio. Ciò che era valido per la relatività speciale, non lo è più dopo l'enunciazione della relatività generale (1917) che, incorporando la forza di gravità, descrive uno spazio-tempo a curvatura non nulla (o più semplicemente curvo). Lo spazio-tempo di Minkowski, in ultima analisi, non descrive con precisione il nostro universo perché è uno spazio-tempo a curvatura nulla (vale a dire piatto). Questi concetti hanno avuto un'influenza enorme nell'evolversi delle teorie in campo fisico. Infatti la fisica quantistica opera nell'ambito dello spazio-tempo di Minkowski in quanto non contempla la forza di gravità.

E' evidente che per descrivere l'universo in cui vivamo bisognerà conciliare la fisica quantistica con la forza di gravità mediante una nuova teoria più generale la cui definizione è uno dei principali obiettivi di tutta la fisica moderna. Allo stato attuale gli sforzi maggiori sono indirizzati alla quantizzazione della gravità in una teoria coerente che viene detta gravità quantistica. Questa teoria può apparire limitata perché prende in considerazione soltanto la meccanica quantistica e la gravità ed ignora, per il momento, l'integrazione con le forze elettromagnetica, debole e forte, la cui unificazione viene considerata ormai compiuta. Ma la strada verso una teoria fisica completa, come ad esempio la teoria delle stringhe o la teoria M, passa attraverso la soluzione di questo problema. Si ritiene che l'intergrazione tra meccanica quantistica e relatività generale possa condurre allo studio delle prime fasi del big bang e dell'origine del tempo e dello spazio (che potrebbero anche non coincidere).

Indice [nascondi] 1 Struttura 1.1 Il prodotto interno di Minkowski 1.2 Base standard 1.3 Quattro-vettori 2 Definizione Alternativa 3 Trasformazioni di Lorentz 4 Struttura casuale 5 Spazio-tempo localmente piatto

[modifica] Struttura Dal punto di vista formale lo spazio-tempo di Minkowski ( o più semplicemente spazio di Minkowski) è uno spazio vettoriale reale quadri-dimensionale dotato di forma bilineare simmetrica non degenerata con segno (+,-,-,-) (secondo i fisici delle alte energie). Il segno complessivo è una questione di convenzione e molti preferiscono utilizzare il segno (-,+,+,+) (usato dai fisici relativisti). Come già detto, lo spazio di Minkowski è spesso identificato dal simbolo R1,3 per puntualizzare il segno; talvolta viene anche utilizzato il simbolo M4 o più semplicemente M.

[modifica] Il prodotto interno di Minkowski Il prodotto interno tra due vettori v e w nello spazio di Minkowski è una mappa M × M → R, indicata da <v, w>, che soddisfa quattro proprietà, tre delle quali sono

bilineare: <au + v, w> = a<u, w> + <v, w>, per tutte le a, u, v, e w simmetrico: <v, w> = <w, v> per tutte le v e w non degenerato: se <v, w> = 0 per tutte le w allora v = 0, dove a è in R e u, v, w sono vettori in M.

Da notare che questo non è un prodotto interno nel senso comune del termine perché non è un positivo-definito, per esempio il quadrato normale di un vettore v, definito come ||v||2 = <v, v>, necessita di non essere positivo. La condizione positivo-definita è stata sostituita da una condizione più debole di non degenerazione (ogni forma positivo-definita è non-degenerata ma non viceversa).

Come in uno spazio euclideo', due vettori sono detti ortogonali se <v, w> = 0. Un vettore v è detto unità vettore se ||v||2 = ±1. Una base per M consistente in unità vettori reciprocamente ortogonali è chiamata base ortonormale.

Vi è un teorema che stabilisce che ogni spazio di prodotto interno che soddisfa le condizioni 1-3 sopra riportate ha sempre una base ortonormale. Inoltre il teorema stabilisce che il numero di unità vettore positiva e negativa in ciascuna di dette basi è fisso. Questa coppia di numeri è detta il segno del prodotto interno.

Possiamo quindi stabilire la quarta condizione del prodotto interno di Minkowski:

4. Il prodotto interno <·, ·> ha segno (+,-,-,-)

[modifica] Base standard Una base standard per lo spazio di Minkowski è una serie di quattro vettori reciprocamente ortogonali (e0, e1, e2, e3) così che:

Queste condizioni possono essere scritte in maniera compatta nella seguente forma:

dove μ e ν superano i valori (0, 1, 2, 3) e la matrice η è data da:

Relativamente ad una base standard, i componenti di un vettore v sono scritti (v0, v1, v2, v3) e si usa la notazione di Einstein per scrivere v = vμeμ. Il componente v0 è chiamato componente temporale di v mentre gli altre tre componenti sono chiamati componenti spaziali.

In termini di componenti, il prodotto interno tra due vettori v e w è dato da:

e il quadrato normale di un vettore v è:

[modifica] Quattro-vettori I vettori nello spazio di Minkowski sono detti anche quattro-vettori allo scopo d distinguerli dai vettori spaziali tridimensionali. In questo articolo, comunque, i due termini sono intercambiabili. Piuttosto ci si può riferire alla componente spaziale di un quattro-vettore (che, naturalmente, dipende dalla scelta della base).

[modifica] Definizione Alternativa Più sopra lo spazio di Minkowski è stato definito come uno spazio vettore. Vi è una definizione alternativa, spazio affine, che vede lo spazio di Minkowski come uno spazio omogeneo del gruppo di Poincarè con il gruppo di Lorentz come stabilizzatore. Vedi il programma di Erlangen Programma di Erlangen.

[modifica] Trasformazioni di Lorentz Vedi: Trasformazione di Lorentz, Simmetria di Poincaré, Gruppo di Poincarè.

[modifica] Struttura casuale I quattro-vettori sono classificati secondo il segno del loro quadrato normale. I vettori sono detti temporale o spaziali se i lro quadrati normali sono positivi o negativi, rispettivamente.

I vettori con normalità zero sono chiamati nulli o tipo luce. Questa terminologia deriva dall'uso dello spazio di Minkowski nella teoria della relatività. La serie di tutti i vettori tipo luce sono detti cono di luce.

Una volta scelta la direzione del tempo, i vettori temporale e nullo possono essere ulteriormente scomposti in varie classi. Per i vettori spaziali si ha:

vettori temporali futuri la cui prima componente è positiva, e vettori temporali passati la cui prima componente è negativa. I vettori nulli sono suddivisi in tre classi:

il vettore zero i cui compponenti in ogni base sono (0,0,0,0), i vettori nulli futuri la cui prima componente è positiva, e vettori nulli passati la cui prima componente è negativa. Considerando anche i vettori spaziali si hanno in tutto 6 classi.

Una base ortonormale dello spazio di Minkowski cosiste di un'unità vettore temporale e di tre unità vettori spaziali. Se si volesse lavorare con basi non ortonormali si potrebbero avere altre combinazioni di vettori. Per esempio. For example, si può facilmente costruire una base non ortonormale consistente interamente di vettori nulli, chiamata base nulla.

[modifica] Spazio-tempo localmente piatto In senso stretto l'uso dello spazio di Minkowski per descrivere i sistemi fisici su distanze infinite si applica solo nel limite newtoniano dei sistemi senza gravitazione significativa. In caso di gravitazione significativa, lo spazio tempo diventa curvo e si deve abbandonare la relatività speciale per la più completa relatività generale.

Nonostante ciò anche in questo caso lo spazio di Monkowski dà ancora una buona descrizione di una regione infinitesima che circonda tutti i punti (tranne le singolarità gravitazionali). In senso più astratto si può dire che in presenza di gravità lo spazio-tempo viene descritto da una varietà curva a 4 dimensioni per la quale lo spazio tangente ad ogni punto è uno spazio di Minkowski a 4 dimensioni. Quindi, la struttura dello spazio di Minkowski è ancora essenziale nella descrizione della relatività generale.

Quando la gravità è estremamente debole lo spazio-tempo diviene piatto così da apparire totalmente, non solo localmente, non solo localmente, come spazio di Minkowski. Per questo motivo lo spazio di Minkowski viene spesso definito come uno spazio-tempo piatto.