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La diavolessa che porta all'aldilà: l'ultimo giallo degli etruschi è rosso

Di Marco Merola  - Fotografie di Pasquale Sorrentino 

Ritratto

di dea?

La divinità dai capelli rossi

che guida la quadriga verso

l'oltretomba. In basso, i restauratori al lavoro nella tomba rinvenuta a Sarteano, in provincia di Siena 

Gli Etruschi ci raccontano il loro viaggio verso l'aldilà, tra demoni e mostri mai visti prima. Ma che ora si possono finalmente ammirare grazie a un eccezionale ciclo pittorico scoperto a Sarteano, a circa settanta chilometri da Siena. Gli affreschi, che abbelliscono la camera funeraria appartenuta a un gruppo familiare aristocratico, risalgono a circa 2400 anni fa e illustrano come, secondo la tradizione etnica, le anime dei defunti venivano trasportate nell'oltretomba e quali creature avrebbero dovuto affrontare, una volta giunte a destinazione.

Che ci si trovasse di fronte a una scoperta clamorosa gli archeologi l'avevano capito subito, già quando, dopo aver liberato dalla terra il lungo corridoio di ingresso alla tomba, si erano trovati di fronte la prima affascinante megalografia: un'enorme quadriga, trainata da quattro leoni e quattro grifoni, che punta verso l'esterno, a simboleggiare l'avvenuta consegna dell'anima al mondo ultraterreno. Alla guida un demone femminile dai capelli rossi, su cui gli studiosi stanno ancora indagando. Si tratta, infatti, di una figura sconosciuta e non assimilabile a nessuna già nota della variopinta iconografia del popolo italico.

«I personaggi finora conosciuti, con funzioni di traghettatori di anime, erano Caron e Vanth», dice Alessandra Minetti, l'archeo-loga che ha diretto i volontari del Gruppo archeologico Etruria durante i lavori di scavo, su concessione del Comune di Sarteano. «Ma il primo è di sesso maschile e ha la pelle blu, il secondo, pur se femminile, è sempre raffigurato con le ali e con dei serpenti sulle braccia o nei capelli. Dunque ci troviamo di fronte a un personaggio assolutamente nuovo». La lunga attesa degli etruscologi - 1!ultima tomba dipinta era stata scoperta quasi venti anni fa - è stata quindi ripagata a dovere.

Ma come mai un simile tesoro era nascosto lì, zona di aperta campagna, e non nella vicina Chiusi, una delle più potenti città-Stato della dodecapoli etrusca? «Verso la metà del IV secolo a.C. c'erano sicuramente molti gruppi gentilizi che basavano la loro ricchezza sul possesso di terre», risponde il professor Adriano Maggiani, docente di etruscologia e archeologia italica all'Università Cà Foscari di Venezia. «È probabile che alcune di queste famiglie si facessero seppellire nei loro possedimenti, e la straordinaria scoperta di Sarteano confermerebbe questa ipotesi. Speriamo che salti fuori anche qualche iscrizione che possa dirci chi erano i proprietari dell'ipogeo».

La dimensione «familiare» della sepoltura sarebbe confermata anche dal secondo dipinto che si incontra inoltrandosi nella «Tomba della Quadriga infernale»: un giovane è disteso su un giaciglio in compagnia di un uomo adulto. Quasi certamente il figlio che ha raggiunto il padre nell'aldilà e con lui si prepara a consumare il tradizionale banchetto dell'oltretomba. Il capostipite del clan sarebbe stato deposto alcuni anni prima in un grande sarcofago di alabastro che purtroppo è stato distrutto, ma non si sa da chi. Secondo alcuni furono i tombaroli, delusi dall'assenza di gioie e preziosi da poter portare via, mentre, secondo altri, i colpevoli sono da ricercare tra gli occasionali occupanti della tomba, che in epoca medioevale utilizzarono la tomba come rifugio.

Il ciclo pittorico di Sarteano si chiude con le raffigurazioni di due creature, un serpente tri-corpore e un ippocampo, che fa bella mostra di sé sulla parete di fondo. Mentre l'ippocampo è sempre presente nei motivi decorativi etruschi, l'enorme serpente dalla pelle blu era stato visto solo una volta e non su una parete, ma su una ceramica proveniente da Orvieto, l'antica Volsinii. Come si spiega questa apparente incongruenza?

«Forse c'erano maestranze itineranti», dice Maggiani, «una equipe di esperti decoratori che si spostavano da una città all'altra». Il soprintendente archeologo della Toscana, Angelo Bottini va addirittura oltre, arrivando a pensare che quello di Sarteano potesse essere un lavoro estemporaneo, quasi sperimentale. «È una tecnica pittorica strana, non si tratta di un affresco strettamente inteso. L'uso dei colori molto particolare e la presenza di numerosi "pentimenti" ci dice che chi ha fatto i dipinti non aveva consuetudine con questo tipo di lavorazione». Tutti indizi che comunque avvalorano l'ipotesi di una relazione stretta tra gli antichi ceramisti orvieta-ni e coloro che dipinsero la camera funeraria della Quadriga.

 

L'esperta al lavoro

L'archeologa Alessandro Minettì, che ha condotto gli scavi nella necropoli etrusca di Sarteano. In alto, una mappa dell'Etruria con i 12 centri più importanti dell'antico popolo italico

 

Ma di questo se ne occuperanno in futuro gli esperti. Ciò che invece andava fatto subito era il consolidamento dei dipinti, che altrimenti avrebbero rischiato un rapido deterioramento. Ecco perché una restauratrice incaricata dalla Soprintendenza fiorentina era al lavoro ancor prima che le indagini archeo-logiche fossero ufficialmente terminate, un mese fa. Il suo impegno si protrarrà fino a maggio, quando, finalmente, la tomba sarà aperta al pubblico. In estate, poi, si riprenderà anche a scavare, per il quarto anno consecutivo, ma questa volta con rinnovato ottimismo, visti i risultati.

«La zona delle Pianacce, su cui sorge la necropoli», dice la Minetti «si estende per circa 500 metri quadrati. Calcolando che una sola striscia di terra ha restituito già 9 camere funerarie, potrebbero esserci ancora più di cento tombe, forse duecento, molte delle quali ancora intatte». Certo si dovrà procedere a piccoli passi e con diplomazia, per non urtare la suscettibilità dei proprietari dei terreni interessati dai lavori. Terreni che l'amministrazione comunale è però adesso pronta ad acquistare, per farne un grande parco archeologico che segni la rivincita degli Etruschi di provincia.

MARCO MEROLA