La Scultura:

Primi e assai caratteristici documenti della plastica etrusca sono, già a partire dal VII sec., i canopi, ossia vasi cinerari di bronzo e di argilla dal corpo panciuto, con il coperchio interamente a foggia di testa umana. Talvolta al vaso erano applicate due braccia, in luogo delle anse, ed il tutto era collocato su di una sorta di tronetto circolare. Abbiamo poi i grandi sarcofaghi fittili, in forma di letto conviviale, sul quale si trovano una o due persone recumbenti, in atto di partecipare al proprio banchetto funebre. Nel Sarcofago degli Sposi sono visibili alcuni elementi di derivazione ionica: l’acconciatura dei capelli, la finezza dei volti, la levigatezza delle superfici. Ma tutto è interpretato in maniera anticlassica. La posizione stessa della coppia sposta il peso verso destra, rompendo l’equilibrio della composizione. Tutto è spigoloso: i volti triangolari, i menti aguzzi, gli occhi a mandorla. Il sorriso, invece dell’impertubabile serenità greca, esprime piuttosto qualcosa di ironico. Anche l’Apollo di Veio mostra rapporti con la scultura ionica, non solo nell’acconciatura dei capelli e nel sorriso, ma anche nella veste pieghettata. Apollo di Veio Lupa Capitolina

Ma le somiglianze sono solo esteriori. La veste, a pieghe larghe e pesanti aderisce al corpo, sembra frenare il passo veloce del dio, il quale nel volgersi, compie, con la gamba sinistra uno sforzo muscolare tale che il polpaccio si avvolge come una molla pronta a scattare. La linea ionica, persa la sua eleganza raffinata, diventa mezzo per esprimere violenza. Lo stesso sorriso, per lo spessore delle labbra taglienti, si trasforma in un ghigno beffardo. Una delle opere di più alto valore della scultura bronzea etrusca è la Lupa Capitolina. In essa, l’animale, ferocemente ringhiante, è rappresentato saldamente poggiato sulle quattro zampe, con la testa rivolta verso lo spettatore. Sono poche le somiglianze con una lupa autentica, non soltanto per la forma anatomica, ma perfino per l’assenza quasi totale del manto peloso, che permette di far risaltare la potente struttura ossea, lo smagrimento del ventre, la vena gonfia sul muso, le mammelle. Il pelo, limitato a una striscia che riveste il collo possente, non è morbido, ma bensì squamoso e duro ed esalta perciò l’asprezza che emana da tutta la statua. Chimera di Arezzo Bruto Capitolino Vaso Canopo

Un’altra scultura bronzea di grande importanza è la Chimera di Arezzo, il mitico mostro con il corpo di leone, la coda anguiforme e, sporgente dal dorso, una testa di capra ferita. La bestia è rappresentata con il muso minaccioso rivolto in alto, verso l’avversario. Tutti i muscoli sono tesi, le costole sporgono dal torace, le unghie, allungate come artigli, fuoriescono dalle dita. I peli, anche qui limitati a rivestire solo alcune zone del corpo, si drizzano come aculei. Tra la ritrattistica scultorea abbiamo il Bruto Capitolino, che per alcuni è etrusco, per altri romano.,Il ritratto è fortemente tipizzato ed esprime la severità morale del personaggio. Il movimento delle ciocche ineguali dei capelli e della barba non curata, i piani facciali irregolari e chiaroscurati per le forti sporgenze e rientranze e, soprattutto la terribile intensità degli occhi fissi, rendono la complessa psicologia dell’uomo. Accanto al Bruto Capitolino, di cui ci è pervenuto solo il busto, l’unico esempio intero di ritratto bronzeo etrusco è il cosiddetto Arringatore del Trasimeno. Egli non è il giovane armonicamente strutturato dei greci. Le rughe che solcano il volto sulla fronte e alle estremità degli occhi, indicano un uomo di mezza età. Il viso, relativamente piccolo e sostenuto dal collo robusto e lungo, è sobrio, concentrato nel pensiero e nell’esposizione verbale. Il braccio alzato e la mano proporzionalmente più grande del naturale sottolineano l’importanza di un passo del discorso: l’oratore parla a un vasto uditorio che, attraverso il suo gesto, deve intuire i concetti, prima ancora che comprenderli con la ragione.