Il potere e le forme istituzionali nei singoli stati:

Le condizioni di fatto esistenti nelle città etrusche tra il IV e il II secolo a.C., hanno influito sulla generale interpretazione delle istituzioni politiche e sociali etrusche quale risulta dai riferimenti degli scrittori antichi. Le città appaiono dominate da un’ oligarchia gentilizia (solo sporadicamente e per breve tempo soppiantata da altre classi sociali), con magistrati genericamente designati dalle fonti romane come principes. I monumenti confermano in parte la tradizione pre- sentandoci grandiose e ricche tombe gentilizie con numerose deposizioni, iscrizioni riferibili a membri di alcune famiglie strettamente imparentate e soprattutto epigrafi di personaggi che portano titoli di cariche temporanee e probabilmente collegiali, secondo un sistema altrimenti noto nelle costituzioni delle città-stati del mondo antico. Ma tali condizioni non rispecchiano evidentemente il quadro della vita politica etrusca nei secoli più antichi della storia nazionale. Molte fonti ci parlano dell’esistenza di re nelle città etrusche. Il termine lucumone (lat. lucumo, lucmo, in etrusco probabilmente lauxume, lauxme, luxume) ricorre talvolta quale prenome personale di personaggi etruschi, come nel caso del re di Roma Tarquinio Prisco; ma è generalmente usato come nome comune per designare i capi etruschi. Il commentatore di Virgilio, Servio, in un caso chiama lucumoni i magistrati preposti alle curie della città di Mantova (ad Aen, X, 202), altrove identifica esplicitamente i lucumoni con i sovrani della città (ad Aen, II, 278; VIII, 65, 465). E’ accertato che i lucumoni equivalessero ai principes, designando ambedue i termini null’altro che i capi delle famiglie patrizie. È però probabile che il termine principes indichi, più che una condizione sociale, le magistrature dello stato repubblicano, e forse anche magistrature supreme; tutto porta a credere che il titolo lucumone designi i re etruschi di età arcaica, secondo l’esplicita e ripetuta affermazione di Servio. Non sembra quindi necessario ricercare, con S.P. Cortsen, la parola etrusca per re nel titolo * pursna, * purtsna, purfne, che sarebbe stato considerato come un nome proprio nel caso del re di Chiusi Porsenna. È d’altro canto probabile che, analogamente a quanto accadde a Roma per il termine rex (sacrificulus), il titolo degli antichi monarchi non sia stato abolito con la trasformazione dello stato in una repubblica aristocratica e si sia conservato accanto alle nuove magistrature, sostanzialmente svuotato del suo contenuto politico e volto a funzioni religiose. Nel testo sacro della Mummia di Zagabria si parla di cerimonie compiute lauxumneti, «nel lauxumna», cioè probabilmente la residenza del lauxume, il lucumone: qualche cosa di analogo alla Regia, residenza dei Pontefici, in Roma. Infine il capo elettivo del Fanum Voltumnae, designato da Livio come sacerdote, non sarà forse stato in origine altro che il re eletto dai dodici popoli e il lucumone più potente ricordato da Servio: sia pure con funzioni sminuite e trasformate dal mutare dei tempi e delle concezioni politiche. Quale carattere ebbe la monarchia etrusca primitiva? purtroppo ci mancano gli elementi per determinarlo e soltanto l’analogia con quel poco di storicamente certo che ci è noto sulla monarchia romana consente qualche supposizione. Il re doveva avere il potere giudiziario supremo che esercitava, a detta di Macrobio (Saturn., l, 15, 13), ogni otto giorni in udienze pubbliche. Doveva essere il capo dell’esercito ed anche della religione dello stato. Meglio informati siamo sopra alcuni costumi cerimoniali e attributi esteriori della monarchia, che furono ereditati da Roma e considerati dagli scrittori antichi come di origine specificamente etrusca: così la corona d’oro, lo scettro, la toga palmata, il trono (sella curulis), l’accompagno dei fasci e altre insegne del potere, la presenza di uno scriba che registra gli atti sovrani; così forse anche la cerimonia del trionfo. Particolarmente interessante è il problema delle origini del fascio littorio. La sua origine etrusca è sostenuta esplicitamente dagli scrittori di età imperiale, come Silio Italico (Puniche, VIII, 483 sgg.) e Floro (l, 1, 5). La più antica rappresentazione di fasci senza scure s’incontra in un rilievo chiusino del Museo di Palermo che si data nella prima metà del V secolo a.C.: cade quindi l’ipotesi che i littori e i fasci al seguito dei magistrati etruschi nelle città federate siano una imitazione delle costumanze di Roma. È probabile che in origine il fascio fosse soltanto uno e che il moltiplicarsi del numero dei littori sia dovuto all’estendersi della sovranità su più territori o al moltiplicarsi dei per- sonaggi detentori del potere supremo. Al simbolo materiale dei fasci corrisponde una capacità politica e religiosa, che i Romani designarono con il nome di imperium. A riprova del valore dell’ascia come simbolo del potere sovrano sta il fatto che soltanto l’ imperium maius ed alcune particolari circostanze davano diritto al magistrato romano dì inalberare i fasci con la scure. L’ imperium, distinguendosi da una generica potestas, è la pienezza dei poteri giudiziari e militari: esso è in sostanza la sovranità degli antichi re di Roma trasmessasi ai magistrati repubblicani. Il concetto di imperium, con le sue sfumature religiose, deriva probabilmente dalla monarchia etrusca. Nello studio del passaggio dallo stato monarchico allo stato repubblicano in Etruria - passaggio avvenuto tra il VI e il IV secolo a.C. - va tenuta presente la portata internazionale del fenomeno che investe, con linee sostanzialmente analoghe, la storia istituzionale dei Greci, dei Fenici, dei Latini, degli Etruschi, e che dimostra, per certi aspetti sostanziali della vita pubblica, la profonda unità della civiltà mediterranea anche in epoca anteriore all’ellenismo e alla romanità. Dalla monarchia primitiva a carattere religioso si passa allo stato oligarchico con magistrature elettive, collegiali e temporanee: talvolta il processo si affianca o si sviluppa con affermazioni di potere personale (tirannie) e con soluzioni democratiche. In molte città greche la trasformazione è già in atto in epoca protostorica, durante e dopo l’età micenea; mentre altre città come Sparta conservano, almeno formalmente, l’istituto monarchico fino alla fine della loro storia. Nel mondo greco d’occidente le nuove soluzioni sembrano già in gran parte affermate sin dagli inizi della colonizzazione; mentre a Roma il mutamento ha luogo nel VI secolo. Le molte teorie proposte per spiegare il passaggio dalla monarchia romana alle magistrature repubblicane si orientano da un lato verso il concetto dell’evoluzione continua e necessaria, da un altro lato verso l’idea di una innovazione improvvisa. Quest’ultima potrebbe effettivamente ricollegarsi all’imitazione di istituti stranieri (greci, latini o anche etruschi?). È stata inoltre affacciata, essenzialmente da S. Mazzarino, la proposta che agli inizi dello stato repubblicano, prima dell’affermarsi delle magistrature collegiali sia da ricostruire una fase di magistrature singole o preminenti, a carattere prevalentemente militare, quasi dittature stabili, sostituitesi alla regalità arcaica. In tal senso sono state interpretate tradizioni relative a titoli come, in Roma, quelli del magister populi o del praetor maximus; e si è anche creduto di poter riconoscere un simile tipo di potere nel personaggio etrusco Mastarna, il cui nome Macstrna (senza prenome nella tomba Franr;ois di Vulci) sarebbe null’altro che un titolo derivato dal latino magister: tanto più che Mastarna era stato da alcune fonti identificato con il re di Roma Servio Tullio, alle cui riforme costituzionali si faceva risalire l’origine stessa della repubblica (Livio, I, 60). L’esistenza di forti poteri personali nelle città etrusche e latine tra la fine del VI e il principio del V secolo s’inquadrerebbe nel diffuso costume delle tirannie che caratterizza le città greche d’occidente in quel medesimo periodo (si pensi ad esempio ad Aristodemo di Cuma), per una sorta di mimetismo politico. Le laminette d’oro in scritte in etrusco e in punico trovate a Pyrgi recano un nuovo prezioso contributo alla discussione di questo problema, dato che esse ci presentano la figura del dedicante Thefarie Velianas, designato in punico come “re di Caere” o “regnante su Caere” (ma in etrusco probabilmente già come zilac, cioè praetor), con tutte le caratteristiche di un capo di stato investito di potere unico e personale. Oltre a ciò va detto che probabilmente non esiste in Etruria una netta contrapposizione cronologica tra fase monarchica e fase repubblicana anche per un’altra ragione, e cioè perche la monarchia, di nome oltre che di fatto (se le fonti non mentono), sopravvive o riaffiora almeno in due casi posteriori a quella fase tardo-arcaica nella quale dovrebbero collocarsi i mutamenti istituzionali più o meno nello stesso periodo delle origini della repubblica romana. Ci riferiamo alla creazione di un re a Veio sul finire del V secolo e alla menzione di un “redei Ceriti” nell’elogium di Aulo Spurinna in un contesto cronologico che si riporta verso la metà del IV secolo. Nell’uno come nell’altro caso c’è una palese ostilità di altri stati etruschi, che farebbe pensare a fatti eccezionali in un mondo di ormai prevalenti assuefazioni istituzionali repubblicane. Il sistema che doveva essersi generalizzato negli ultimi secoli di vita autonoma delle città etrusche è, come si è detto, quello delle repubbliche oligarchiche, per la cui conoscenza abbiamo purtroppo soltanto pochi indizi diretti offerti dalle iscrizioni e qualche cenno delle fonti storiche, oltreche l’analogia con Roma. Possiamo dedurne l’esistenza di un senato formato dai capi delle gentes; probabilmente di assemblee popolari; di una magistratura suprema temporanea, unica o collegiale; di altre magistrature collegiali a carattere politico e religioso. In ogni caso si avverte la tendenza a spezzettare il potere, a sminuirlo e a porlo sotto un costante reciproco controllo, allo scopo di evitare l’affermarsi del potere personale. Questo irrigidimento delle istituzioni oligarchiche sembra più accentuato in Etruria che a Roma. Una differenza traspare anche nei riguardi dei movimenti di rivendicazione pubblica delle classi inferiori, che in Etruria non hanno generalmente la possibilità di inquadrarsi, come a Roma, in uno sviluppo progressivo delle istituzioni verso l’avvento al potere della classe plebea; ma si risolvono, a Volsinii, ad Arezzo e forse altrove, in parentesi di anarchia popolare. Ciò non esclude tuttavia un progressivo assorbimento di elementi extragentilizi nel sistema gentilizio specialmente nell’Etruria settentrionale intorno al II secolo a.C., come si è già accennato: con loro probabile conseguente accesso almeno ad alcune delle cariche pubbliche. I titoli delle magistrature etrusche, nelle loro forme originarie, ci sono noti dai cursus honorum (cioè dalle elencazioni delle carriere) delle iscrizioni funerarie, alcune delle quali dovevano esser redatte nella forma di veri e propri elogio poetici del defunto, come ad esempio le iscrizioni romane degli Scipioni. Non è facile tuttavia interpretare la natura delle cariche, i loro reciproci rapporti, la differenza di dignità e la corrispondenza con le magistrature del mondo latino ed italico. Il titolo più frequente è quello tratto dalla radice zii-, di origine ancora oscura ed imprecisata (ma già presente a Caere almeno all’inizio del V secolo), nelle forme zii, zil(a)c o zilx, zilat. Alle forme nominali corrisponde un verbo zilx- o zilax- che significa «essere zilc o zilat». Già sappiamo che zilat corrisponde in qualche caso al titolo romano praetor. È indubbio che si tratta di un’alta carica, forse la più alta dello stato; ma spesso il titolo appare accompagnato da specificazioni (zilat o zilx parxis; zilc marunuxva; zilx cexanen) che possono indicare una specializzazione di funzioni (cfr. il latino praetor peregrinus). Un’altra carica importante, che taluno considera il più alto grado di un supposto collegio di zilat, è indicata dalla radice purt-, che non si è mancato di ricollegare con il titolo di probabile origine preellenica noto anche nelle città greche dell’occidente e forse da queste trasmesso alle città etrusche. Frequente è inoltre il titolo maru, marniu, marunux, i cui richiami sacrali sono resi evidenti dalla sua connessione cori il titolo sacerdotale cepen e da specificazioni, che contengono i nomi degli dèi Paxa (Bacco) e Cafa. Appare anche in Umbria con il collegio dei marones (e fu cognomen del mantovano Virgilio!). Si è supposto che corrisponda al latino aedilis. Altre cariche amministrative o militari sono espresse dai termini camfi, macstrev© (dal latino magister), ecc. Trattando degli ordinamenti dello stato etrusco un ultimo cenno dovrebbe esser fatto alle leggi e al diritto. Ma purtroppo di questa materia noi possediamo nozioni limitatissime ed incerte delle fonti letterarie antiche, essenzialmente collegate con la disciplina etrusca e in particolare con i libri rituali. L ‘ipotesi dell’esistenza di un ius terrae Etruriae, cioè di una legislazione della proprietà terriera, sostenuta da S. Mazzarino, dove comunque sarebbe nominato un ius Etruriae. L’estrema importanza della normativa riguardante i confini (molti dei quali contrassegnati da cippi con la parola tular) sembra del resto confermata anche da altri documenti. Ma siamo in ogni caso, sia per questa materia civile come per il diritto penale, prevalentemente nella sfera del sacro, cui si farà riferimento nel capitolo successivo.