GLI ETRUSCHI:
GLI ETRUSCHI
ORIGINI -- LA DECADENZA -- LA SOCIETA' ETRUSCA -- LA FAMIGLIA ETRUSCA
PADRONI E SERVI -- LA DONNA -- LA VITA ATTIVA -- LA VITA QUOTIDIANA
L'ARTE - L'ARTIGIANATO -- LE CITTA' ETRUSCHE
ORIGINI - Degli Etruschi si sa ancora ben poco, ed i testi sui quali oggi si
basa la storia di questa civiltà risalgono all'antichità greca e romana. Erodoto
il grande storico greco offre una ricostruzione sulle origini, ma gli
Etruscologi e gli archeologi tendono oggi a limitare fortemente la sola
interpretazione di Erodoto; una teoria la sua, diffusissima fra tutti gli
scrittori classici. Il suo racconto sembra risentire troppo dai miti e delle
favole, che nell'antichità tendevano a far dipendere l'origine e la nascita
degli Etruschi, questo popolo occidentale, da una migrazione venuta
dall'Oriente, dalla Lidia, a seguito di una grave carestia in epoca mitica, e
cioè poco dopo la guerra di Troia, guidata da un grande condottiero: Tirreno.
Dionigi Alicarnasso discutendo la tesi di Erodoto formulò un'altra ipotesi:
quella dell'origine autoctona degli Etruschi; mentre Livio in un discusso passo
ha accreditato una terza teoria, di una provenienza settentrionale di questo
popolo, di cui i Reti e altre popolazioni alpine sarebbero le spoglie.
Avevano ragione in parte tutti e tre anche se le loro tre teorie sono errate.
Infatti, una certa resistenza all'origine solo orientale, é motivata dalle
difficoltà in cui oggi si trova l'archeologia, di vedere nel continuo sviluppo
un concatenamento delle civiltà che si sono succedute nell'Italia centrale, non
con una frattura abbastanza decisa e netta; quindi non solo il frutto di un
"solo" popolo straniero emigrante.
Per molto tempo si è pensato di poter collocare questa frattura intorno al 800
a.C., nel momento in cui, cioé questa civiltà che viene dall'Oriente,
sostituisce la civiltà preesistente nel territorio italiano; civiltà
quest'ultima, chiamata "Villanoviana" perché fu identificata e definita la prima
volta in un paese chiamato Villanova, nei pressi di Bologna.
Si é scritto (citando Livio X, XXXIII) che gli Etruschi fondarono Bologna
(Felsinea), Modena, Piacenza, Ravenna, Spina e Mantova, mentre invece sappiamo
oggi che queste località erano già abitate. Bologna aveva un importante
insediamento nell'area dell'attuale centro storico. Un grande comprensorio a
macchia d'olio che attorno all'anno 1000 a.C. si era saldato e stabilizzato; vi
si praticava la metallurgia, l'artigianato e una larga trama di commerci, quindi
già un importante capoluogo della civiltà Villanoviana (autoctona) anche se con
moltissimi influssi dell'area mediterranea (attraverso Adria e Spina) e con
quelli settentrionali, padani e subalpini, prima dell'arrivo degli Etruschi.
I palafitticoli, abbandonate le valli alpine e la stessa Pianura Padana, vi
erano già arrivati con la loro ricca cultura intorno al 1300 a. C. Non molto
distante, a Este, c'era un grande centro dei "palafitticoli"; e nel Veneto di
insediamenti se ne contavano parecchi, a Padova, Vicenza, Verona, Rovigo, e....
dove sorgerà in seguito (gli unici rimasti fedeli a questo tipo di abitazione)
Venezia.
Anche i Galli Boi, nella metà del secolo IV, del capoluogo emiliano ne
rivendicarono la fondazione (chiamandola Bononia). Altrettante pretese
avanzarono i Romani nel 191 a.C. che vi dedussero una colonia nel 189 a. C..
(Insomma tutti operavano come Pissarro e Cortes in America, portandovi, loro
assicuravano, la "civilta"! E spesso cambiavano nome nel luogo dove arrivavano).
Oggi i recenti e continui progressi della ricerca archeologica, hanno portato
gli studiosi a poter concludere che tra le tesi dell'origine orientale e
dell'origine autoctona degli Etruschi non c'è un vero e proprio contrasto; ci si
va sempre di più orientando in una risoluzione più equilibrata del problema. Si
deve cioé concludere che se elementi orientali sono giunti sulle coste
tirreniche, questi (poco importanti numericamente) non hanno modificato in modo
sensibile e profondo gli insediamenti della civiltà delle popolazioni
preesistenti. Infatti, le basi della civiltà villavoviana trovano nella civiltà
etrusca uno sviluppo di certe sue caratteristiche essenziali: ma non viene
superata né tanto meno distrutta dagli Etruschi, bensì in una forma, spesso non
manifestata (altezzosamente quella etrusca) da entrambe le due civiltà,
sviluppata ed ampliata. Così sviluppata e ampliata la autoctona che sarà questa
a distruggere l'altra.
Il problema che non era stato risolto fino a pochi anni fa, era invece la lenta
comparsa (1800-1500 a.C.) e la successiva improvvisa scomparsa (1300 a.C.) dei
palafitticoli; prima nei laghi alpini, poi nella Pianura Padana. Una civiltà
questa che si pensava fosse giunta dal centro Europa. Invece oggi sappiamo che
era scesa dalle Porte di Ferro (confine Jugoslavia-Bulgaria-Romania), anche
questa proveniente dall'Oriente da dove era partita risalendo il Danubio; ma
emigrata dalla Tracia mille anni prima, e in alcune zone, duemila anni prima che
emigrassero gli Etruschi dalla Lidia e approdassero in Toscana.
Questo popolo (noto anche come cultura detta dei "Campi di urne") prima occupò
le Valli Alpine e Prealpine, poi scese nella pianura Padana, in Emilia, infine
intorno al 1100-1000 a.C. in Umbria e nel Lazio. Nell'area dove Romolo farà
sorgere Roma nel 753, alla base del Palatino, sono state rinvenute inumazioni
con il sistema della pratica incineratoria (sconosciuta ai latini dei Colli
Albani) databili 1100 a. C. - E anche più antiche, del 1500 a.C. che fanno
pensare che i palafitticoli (questo popolo silenzioso e fantasma, ma con una
grande cultura) vi si erano già spinti quattro secoli prima. (Vedi Fondazione di
Roma)
Dai dati linguistici (molto compositi ed eterogenei, la cui documentazione é
attinta da materiali ed epoche diverse, d'altre età e aree) e dalla
documentazione archeologica si ricava un'organica e logica sequenza di fenomeni
culturali, in cui é difficile, se non impossibile, fissare dei paletti, delle
pause, alle quali attribuire il valore di un salto qualitativo storico proprio
di una sola migrazione orientale (Teoria di Erodoto). E sulla base dei dati
storici-culturali, linguistici e archeologici sono da respingere sia quella
autoctona (teoria di Alicarnasso) sia quella di origine settentrionale (teoria
di Livio).
Più semplicemente quella Etrusca, va intesa come una migrazione avvenuta da
diverse direzioni e in tempi diversi, ma sempre con un'unica origine orientale.
I palafitticoli del Nord, come a Costanza o a Ledro (TN) ecc., 1000 anni prima,
avevano con se moltissimi oggetti della cultura Tracia-Micenea, e altrettanto
portarono con sé quelli sbarcati poi in Toscana, ma portandosi dietro la cultura
Micenea di mille anni dopo, già assorbita ed evolutasi in quella Pre-Ellenica.
(1000-800 a. C.)
Che i Tirreni-Etruschi provenissero dal mar Egeo non ci sono più dubbi. La
scoperta a Lemno di una iscrizione in lingua pre-greca (arcaica- Fenicia 1 -
origine 1519-1220 a. C.) ha messo in luce, strettissime e indubbie affinità, fra
quella lingua e quella etrusca. E l'isola di Lemno (nomo di Lesbo) era abitata
da un popolo originario della..... Tracia. (!!! attenzione a questo nome -
apparirà spesso - nulla a che vedere con la storia della Tracia Romania Romana)
In Tracia (lo sappiamo da pochissimo tempo) sembra sia esistita una grande
civiltà millenaria, anteriore a quella Sumerica. Qui del resto non molti anni
fa, sono state rinvenute le Tavolette Tartarie e i primi sigilli rotondi
sumerici-babilonesi-egiziani; e sembra che proprio qui i Sumeri scoprirono
l'arte della scrittura. E forse i Fenici in seguito a contatti con i Traci
nacque loro l'idea dell'Alfabeto. La lettera N della Tracia del 3500 a.C. sarà
un caso che in sumero, in egiziano, in fenicio, in etrusco, in greco, in latino,
é sempre uguale?
Le Tavolette Tartarie hanno rimesso in discussione l'origine della scrittura; un
giallo, perché sono state trovate dove non ci dovevano essere. E insieme a
queste molti altri oggetti e tesori che hanno sconvolto il mondo archeologico.
Sembra proprio che la preistoria Europea sia nata qui, in Tracia.
Una civiltà quella della Tracia, che all'epoca delle conquiste romane era del
tutto scomparsa. I Greci l'avevano cancellata. Anche se 4000 anni prima avevano
fondato Troia, erano stati i primi a sbarcare a Creta mille anni prima della
civiltà minoica (il toro, il Taurus era un culto Trace!), avevano creato quasi
tutti gli dei greci (Zeus in Trace significa Dio, e Dionisio suo figlio - nysos
in Trace significa giovinetto; Lo stesso Orfeo e l'orfismo era Trace. Il mitico
Monte Olimpo era Trace, perché posto al confine dell'antichissimo territorio
Trace.
I Greci si impossessarono oltre che del territorio anche di tutto la mitologia
della Tracia. Molti, ancora oggi, credono che la mitologia greca sia greca,
invece é della sconosciuta Civiltà Tracia. Quando i Greci fondarono sul Mar
Nero, Apollonia nel V sec. a.C. eressero una statua alta tredici metri (scultore
Calamide) in onore del dio Trace affinché proteggesse la... Grecia; e quel dio
era Apollo onorato in Tracia 2000 anni prima di quello greco (ritrovato a
Dupljaja nel Banato) ecc. ecc. Poi se ne impossessarono. Cosi la dea Cibele, era
la dea delle fertilità Trace (famose le statuette dalle grosse mammelle)
Se rileggiamo Omero (Iliade) scopriamo che accenna a Reso, come al mitico Re
Trace, elogia l'elevato grado di civiltà della sua tribù, e resta affascinato
dal suo cocchio e l'armatura d'oro puro e del suo cavallo più bello del mondo. A
Varna ultimamente è stato scoperto qualcosa che dà ragione ad Omero. In Tracia
ancora nel 3200 a.C. sguazzavano proprio nell'oro. Vale a dire duemila anni
prima di Reso. Monili d'oro a 24 carati a chili, gli scettri e i gioielli a
lamine d'oro come la maschera di Agamennone li avevano già fatti mille anni
prima che sorgesse Micene e Troia. E sappiamo oggi dov'era il famoso (tenuto
sempre segreto) "forziere" di Traiano nel periodo più opulento di Roma: le
miniere d'oro tra la Tracia e la Dacia.
E se rileggiamo anche Erodoto, narra di un popolo con ottime regole e
organizzazione sociale, dove ogni famiglia disponeva di una propria casa, che
dimorava sui laghi, le cui belle abitazioni non in paglia ma in tavole unite,
sono costruite in mezzo all'acqua sopra alti pali. Il popolo - lui che scriveva
nel 470 a. C. - li chiama "Antichi" Peoni; la zona è il lago Prasia (oggi lago
Takiros); il territorio la Tracia. Di questi villaggi ne sono stati oggi
rinvenuti circa 350. Databili 4000 a. C. Sappiamo così da dove veniva
l'architettura palafitticola identica a quella delle valli alpine, e chi erano e
da dove veniva la cultura dei popoli dei Campi d'Urne.
MA RITORNIAMO AGLI ETRUSCHI
Solo intorno al VII secolo la civiltà etrusca inizia a prendere coscienza della
propria esistenza, della propria personalità, della propria lingua, della
propria autonomia, rispetto alle altre civiltà che popolavano l'Italia a quell'epoca.
Un tipo di società spiccatamente guerriera, in contrasto con le culture
esistenti nell'intera penisola, più mite, non agonistica. Questo spiega l'ampia
diffusione territoriale degli etruschi e di conseguenza anche la supremazia
culturale. Nei secoli che vanno da questa età fino al II sec. avanti C., si ha
il grande e rigoglioso sviluppo degli Etruschi, che rappresentano per tutto
questo periodo una grande forza politica, sociale, ma anche culturale: si può
quindi benissimo dire che la civiltà etrusca sia la prima, grande, potente e
fiorente civiltà italiana, pur con tanti difetti.
L'Apogeo della potenza etrusca, si ha soprattutto nel VI secolo, quando gli
Etruschi stipulano un'alleanza con i Cartaginesi: alleanza che assicura loro il
dominio di tutto il Mediterraneo occidentale; quindi iniziano i floridi
commerci.
Verso il 535 si ha una grande affermazione della loro potenza marittima e
commerciale con la grande vittoria nella battaglia navale sui Focesi, al largo
di Aleria, in Corsica.
Come riprova del grande splendore della civiltà etrusca nel VII secolo e ancora
nel VI, basterà ricordare come gli stessi Re di Roma, cioè i Tarquini non
fossero altro che Etruschi: quindi in questo periodo gli Etruschi scendono a
sud, espandendo il loro dominio e la loro potenza militare ed economica in un
"paese" ancora giovane, non ancora bene organizzato: quello Latino. Nella
seconda metà del VI secolo gli Etruschi vanno ancora oltre, scendendo nella Val
Padana fino alle foci del Po, istituendovi degli importantissimi centri di vita
commerciale e dei fondamentali punti d'appoggio (Uno addirittura a Melzo).
Mentre a sud giungono fino in Campania, a Capua, mentre i nuovi greci - i
moderni - vi stanno sbarcando da sud)
LA DECADENZA - A questa grande espansione della potenza, segue l'inevitabile
lento declino, il cui inizio può essere segnalato nel 509, con la cacciata dei
Tarquini da Roma, data questa che segna anche il principio della storia di Roma
repubblicana: la caduta degli Etruschi inizia già ad essere irrimediabilmente
legata all'ascesa di Roma.
Nel 474 il declino incontra un'altra drammatica conferma nella battaglia navale
di Cuma, ove la flotta etrusca é annientata da quella Siracusana, che conquista
così il controllo del Mediterraneo occidentale.
Nel 423, altro dramma, i Sanniti occupano Capua, avamposto della civiltà etrusca
nell'Italia Meridionale. Poi con l'inizio delle invasioni galliche in Italia,
intorno al 400, la civiltà etrusca é colpita anche alle spalle, ed entra in
agonia. Non solo non é più in grado di fare conquiste, ma non è capace neppure
di difendere il proprio territorio. Per farlo avrebbe bisogno di uomini, e di un
potere centrale, ma si ritrova ad avere solo dei servi imbelli e dei contadini;
quello che ha prodotto la loro società "chiusa".
Si ha quindi il lungo periodo della conquista romana dell'Etruria. I Romani
riescono a bloccare, a respingere i Galli, poi avanzano verso il nord attratti
dal vuoto di potere che la decadenza etrusca ha creato nelle regioni
settentrionali dell'Italia. Nel 358 inizia la guerra tra Roma e gli Etruschi,
che si conclude nel 351 con la vittoria di Roma.
Le vicende della conquista romana si fanno più serrate: nel 310 Roma sconfigge
gli Etruschi ad Arezzo, Cortona e Perugia; nel 295 con la sconfitta dei galli e
degli Etruschi a Sentinum, Roma sottomette i Volsini, Arezzo e Perugia; nel 280
Roma conclude un trattato di alleanza con alcune delle città più importanti
della confederazione etrusca: Volsini, Arezzo, Perugia, Vulci, Rusellae,
Vetulonia e Populonia. Un potere centrale etrusco non é mai esistito; così
ognuno risolve la sua questione in casa propria. Altro non possono fare, una
vera nazione Etrusca non é mai esistita, una coscienza nazionale neppure. Il
destino é uno solo: quello di sottomettersi a chi sta facendo nascere questa
coscienza: la romanità.
Da questo momento l'Etruria diventa romana; e così si concludono le vicende
della gloriosa civiltà etrusca, che però non muore culturalmente, anzi, riesce a
sopravvivere ancora, fino influenzare alcune importanti caratteristiche della
vita sociale e pubblica, oltre che artistica, dei Romani conquistatori.
Non nella lingua però. Ed è un problema avvolto anch'esso, come le origini, in
un'atmosfera di mistero. Una lingua impenetrabile e indecifrabile.
L'Etrusco non assomiglia né al latino, né al greco, né a nessun'altra lingua
conosciuta. Salvo quella di Lemno citata sopra, cioè un greco arcaico - il
Fenicio 1, nell'Egeo poco utilizzato e quasi inesistente nella letteratura,
narrativa, storica o epica (i motivi li abbiamo evidenziati nel link "VI FU UN
TEMPO....)-
Sono stati decifrati i geroglifici egiziani, gli ideogrammi micenei, i
cuneiformi mesopotamici, semplicemente perché abbiamo di queste lingue
abbondanza di testi e alcuni scritti in bilingue che hanno permesso di
comprendere perfino i segni privi di una base fonica (es. la stele di Rosetta fu
la chiave per i geroglifici). E della scrittura Sumera possediamo dei veri e
propri vocabolari su tavolette. Di Etrusco invece abbiamo quasi diecimila testi
(epigrafici per la più parte) ma molti dei quali sono brevissimi e semplici.
Usano quasi sempre le stesse parole; l'etruscologia é attualmente in possesso
d'un vocabolario che non supera le 200 parole; una base insignificante che non
permette certo di avere a disposizione la conoscenza della grammatica e della
sintassi di una lingua. Manca insomma un vocabolario. Per cui si deve rinunciare
a comprendere l'Etrusco, finché non si riuscirà a scoprire un lungo testo
bilingue, che ci offra la traduzione in greco, latino, o in altra lingua
conosciuta di testi etruschi.
Mentre nel Lazio i romani dai greci mutuavano i segni dell'alfabeto
Greco-Fenicio 2 e creavano ex novo una lingua, il Latino; gli etruschi (mondo
chiuso) proseguivano con l'alfabeto Fenicio 1, che si erano portati dietro dalla
Lidia, nell'Egeo, che nel frattempo aveva adottato l'alfabeto 2, e con questo
aveva iniziato la sua intensa era letteraria ellenistica, sbarcata poi in
Sicilia, nella Puglia, in Campania e infine a Roma.
L'egemonia romana dopo il 280 (con il trattato) condannò per sempre il vecchio
alfabeto. Le scuole erano ormai tutte in latino e più nessuno degli insegnanti
(forse per nazionalismo o per censura imposta dall'alto - come sempre accade a
chi conquista un paese) tradusse un testo etrusco in latino; la lingua dopo un
paio di generazioni, nella vita civile, scomparve del tutto, anche nelle
famiglie d'origine etrusca. (come poi accadrà molti secoli dopo al latino).
Un altro singolare e ingenuo errore avevano commesso gli Etruschi stanziandosi
in Toscana. Insieme alla arcaica lingua avevano adottato anche il calendario
della Lidia, mesopotamico, lunare, già millenario. Era arcaico e in Lidia
funzionava, ma in Toscana no: le stagioni non erano le stesse. I tempi
dell'agricoltura non collimavano, anzi un arcaico calendario indigeno funzionava
meglio. Gli Etruschi lo ritoccarono più volte saltando mesi; Ma dopo pochi anni
risultava sempre sfasato con le stagioni. La ragione era semplice c'erano
due-tre gradi di latitudine di differenza, e corrispondevano a 4-6 gradi di
temperatura inferiore; oltre che essere la durata del giorno diversa.
Quando in Mesopotamia o in Anatolia iniziava la semina, in Toscana si era ancora
nel freddo "febbraio". Le stagione delle piogge in Mesopotamia avvenivano in
aprile, in Toscana in autunno.
Anche il calendario romano di Numa incorse in questo stesso errore. Per oltre
700 anni nessuno aveva capito perchè. Fu solo dopo Giulio Cesare - nel 49 a.C.,
di ritorno dall'Egitto con la scoperta dell'anno solare che le cose andarono per
il verso giusto. Dopo 13 mesi lunari non ritorna la primavera, ma dopo 12 mesi
solari la durata del giorno é invece esattamente uguale a quello dell'anno
precedente, e in quelli seguenti. Occorsero quasi duecento anni per introdurre
ufficialmente l'Anno Giuliano, che é ancora quello d'oggi, divenuto più esatto
con Papa Gregorio nel 1582, e che per questo si chiama Gregoriano.
LA SOCIETA' ETRUSCA - La civiltà etrusca si é scritto sopra é la prima, grande,
potente e fiorente civiltà italiana. E' diversa dalle altre non solo perché ha
un ricco bagaglio culturale e tecnologico, pur importantissimo; ma perchè ha
qualcosa in pìu rispetto alle altre; è bene organizzata e strutturata nella sua
vita politica e sociale. (anche se discutibile).
Questa complessa e sviluppata civiltà a differenza di quella romana - pur quasi
contemporanea - ha dei grandi pregi ma anche potenzialmente dei difetti; che
sono poi quelli che la porteranno alla decadenza.
I Romani (o meglio per il momento i Latini ) già dopo appena due secoli, mutuano
i primi, e cercano di evitare i secondi quando nel 509 danno vita alla
Repubblica.
A differenza della civiltà romana, che fin dal VI secolo, attraverso la
costituzione censitaria attribuita a Servio Tullio, aveva superato la dualità
primitiva tra plebei e patrizi, la società etrusca si presenta perennemente e
rigidamente divisa ancora nelle due classi dei servi e dei padroni.
Questo tipo di società si mantenne con conservatorismo assoluto e senza
sostanziali modificazioni nel corso dei secoli. L'errore che farà in seguito
anche Roma, e dopo Roma, tante altre civiltà, tanti altri popoli, Regni o Stati.
Di questa classe di servi e di padroni etruschi molte aspetti ci sono noti
perché le tracce archeologiche ci rivelano molti dettagli. Testimonianze negli
arredi funerari che si riferiscono sempre a persone agiate, di un certo livello
sociale, non certo a persone umili.
Al sommo della gerarchia della società ci sono i re, che fino ad epoca
antichissima ci appaiono alla testa della potenza etrusca. Conosciamo i nomi di
alcuni di questi, tramandatatici perché furono protagonisti di famose vicende
con i Romani: il celebre Porsenna, Muzio Scevola e Clelia, ma anche di altri re
conserviamo il nome, soprattutto attraverso le iscrizioni funerarie.
Per tutta l'Etruria non c'era un solo re, ma ben dodici; tanti quanti erano le
grandi città etrusche che facevano parte della "confederazione" dell'Etruria. Le
ricordiamo: Volterra, Populonia, Chiusi, Perugia, Vetulonia, Tarquinia, Fiesole,
Marxabotto, Norchia, Tuscania, Saturnia, Talamone, Arezzo, Cortona. Erano unite
saldamente da vincoli religiosi ma non da un vincolo politico da far pensare ad
uno stato unitario e compatto, ma piuttosto ad una federazione in seno alla
quale sembra che non era possibile che una città abbia avuto - né poteva ambire
- al predominio sulle altre. Troppe le gelosie tra città e città. I re non erano
dei monarchi ma figure simili a tiranni che operavano nel loro piccolo regno con
una piccola classe oligarchica.
Le insegne del potere regio, ci sono tramandate e descritte dallo storico greco
Dionisio di Alicarnasso, nel racconto che egli fa della conquista dell'Etruria
da parte di Roma, sotto il regno di Tarquinio Prisco: una corona d'oro, un trono
d'avorio, uno scettro decorato nella parte superiore con un'aquila, una tunica
di porpora intessuta d'oro e un mantello di porpora ornato da ricami simili a
quelli dei mantelli dei re di Lidia e della Persia. Il segno più evidente della
sovranità era costituito dai littori che aprivano il corteo reale reggendo sulla
spalla il fascio littorio: ognuno dei dodici re etruschi ne aveva uno a
disposizione; "Lucumone" era il nome del re etrusco.
Accanto ai re, sono i condottieri, le gerarchie propriamente militari; la loro
esistenza storica é legata in ogni caso a quella della loro gens, ed é anche
attestato epigraficamente più volte, come nel caso della famiglia dei Tolumnii a
Veio.
Uno dei condottieri più famosi della storia etrusca, il cui nome ci é stato
tramandato grazie al suo valore - che é stato presentato in termini quasi di
prodigi - é Macstarna, che secondo la tradizione romana era venuto a Roma come
alleato per mettere la sua spada al servizio di re Tarquinio, mentre nella
versione etrusca della stessa vicenda figura prima nel numero dei nemici e poi
addirittura in quello degli uccisori di Tarquinio, fino ad occupare uno dei
colli di Roma e ad impossessarsi del trono per scopi non certo pacifici.
Macstrana é uno dei nomi più prestigiosi di questa classe di condottieri, classe
che, come ci mostra il suo esempio, a volte divenne potente fino a tal punto da
mettere in pericolo addirittura la stessa autorità del re.
Un'altra categoria della società civile degli Etruschi, molto potente e molto
gelosa delle proprie prerogative e privilegi, é quella dei magistrati che
costituiscono una classe chiamata a deliberare in una specie di Senato; essa
rappresenta la sola assemblea politica dello Stato Etrusco. I magistrati
etruschi scelgono fra di loro un "princeps" che, eletto una volta ogni anno, può
sostituire in certi casi il re, e fa le funzioni di una specie di presidente
della repubblica, assistito da una serie di magistrati, anch'essi eletti una
volta ogni anno, che compongono un collegio simile a quello degli Arconti di
Atene.
Su questi magistrati, sui loro titoli, sulle vicende della carriera, sulle
attribuzioni e sui privilegi che loro spettano, l'epigrafia supplisce in larga
parte al silenzio degli storici, e ci fa conoscere una serie di "carriera" molto
più complicata e difficile di quella che caratterizzerà la vita pubblica romana.
(gli assomiglierà quella bizantina).
Oltre queste cariche, minori ma importanti indubbiamente all'interno della
società etrusca, sono le cariche sacerdotali e amministrative, che al momento
attuale delle ricerche, non sono altro che puri nomi. Solo qualche rapida
notizia; elementi che sembrano abbiano avuto particolare risalto, in quanto
avevano una diretta partecipazione al governo. Nella lingua etrusca é stata
infatti riconosciuta tutta una famiglia di parole, derivanti dalla radice zil
che significa "governare", come zilic, zilath che significa "magistratus", cioè
sia la carica della magistratura, che la persona che la esercita, il magistrato;
e ancora zilaxjnve, zilachnuce, che valgono "ha fatto il magistrato". Certi
zilath portavano un altro titolo, maru, che voleva dire un insieme di magistrati
e sacerdoti (come gli edili, i pontefici romani); infine il presidente del
collegio degli zilath (una specie di consiglio dei ministri) e il "primo zilath"
era appunto il "primo ministro" o "presidente del Consiglio".
Questa era la complessa vita di ogni regno, e queste erano le più alte
magistrature nel quadro delle singole città etrusche. A livello di "Nazione",
quando cioè le varie città si riunivano periodicamente nella Confederazione,
veniva eletto uno zilath supremo, che é confermato epigraficamente nella
denominazione di zilath mechl rasnas, cioè "zilath del popolo etrusco" cioè
governatore di uno stato, che c'era formalmente ma non c'era nella sostanza.
Questo stato organizzato era solo una gran bella facciata, dietro non c'era una
"Nazione", ma servi e contadini.
PADRONI E SERVI - Al di sotto di queste categorie accennate sopra di padroni e
dirigenti, non vi erano che servi: nei palazzi delle città, nelle fattorie delle
campagne, nelle miniere e nelle officine, viveva una grande, anzi la massima
parte della popolazione etrusca; che aveva anch'essa una sorta di gerarchia o
almeno di distinzione.
In primo luogo vi era la folla dei "domestici", che viveva numerosissima presso
le dimore dei ricchi; avevano incarichi molteplici, come quello di provvedere al
servizio diretto del padrone, servire a tavola, preparare e organizzare la
cucina e i rifornimenti, insomma tutte le attività che si svolgono all'interno e
fuori di ogni casa.
Di tutt'altro genere e molto di più numerosi erano i servi di campagna, che
erano impiegati nell'agricoltura. Più che schiavi erano "animali" da soma; cioè
dei miserabili "animali" addetti alla fatica dall'alba fino al tramonto.
Su questi strati inferiori della popolazione le notizie sono molto rare e
incerte, oltre che naturalmente frammentarie in massimo grado: al di là dei
pochi indizi fornitici dalle iscrizioni funerarie e in maggiore quantità dagli
affreschi delle tombe, che spesso ci mostrano i servi di città nell'atto di
servire a tavola, o accanto al padrone a soddisfare le sue richieste, o alcuni
contadini impegnati nel lavoro dei campi, ben poco si sa di questa vasta parte
della popolazione etrusca. Evidentemente però doveva vivere in modo quanto mai
incerto e senza alcuna possibilità di sviluppo: la vita sociale degli Etruschi
era nettamente chiusa, bloccata, secondo uno schema di casta, che non permetteva
alcuna possibilità alle classi inferiori di accedere a quelle superiori. (Quando
poi ebbero bisogno di contrastare un nemico esterno, pagarono molto caro questa
chiusura)
Del resto la potenza, la dignità, la grandezza di un Etrusco era data
soprattutto dal numero dei domestici, degli schiavi, dei liberti, clienti e di
etera di cui riusciva a circondarsi. Le ultime tre categorie erano i pochissimi
elementi entrati con il loro servilismo nelle grazie dei padroni, che godevano
una certa libertà e una maggiore considerazione. Fino al punto da essere alla
loro morte tumulati nella tomba di famiglia.
LA FAMIGLIA ETRUSCA - Era costituita dal padre e dalla madre che convivono con i
figli ed i nipoti, e si distingue dalla famiglia romana o greca. Gli Etruschi
sembrano aver avuto sempre delle famiglie solide, i cui componenti erano legati
tra loro da stretti vincoli molto sentiti e vissuti intensamente; nessuno dei
familiari contestavano al "pater familias" l'autorità di guida, che verrà a lui
attribuita soprattutto dai Romani, come appare da tante iscrizioni nella quale
la filiazione é appunto paterna. Grazie a queste iscrizioni noi possiamo oggi
conoscere i principali nomi di parentela in lingua etrusca: clan significa
figlio, sec figlia, puia sposa, tusurthi gli sposi; nonno si diceva papa, nonna
atinacna, fratello thuva, nipote papacs.
Del resto la stessa iconografia così tipicamente etrusca delle tombe, che
presentano il marito e la moglie sdraiati l'uno accanto all'altra, adagiati sul
letto funebre, in atteggiamento dignitoso e affettuosamente familiare, nel gesto
di protezione (vedi immagine d'apertura) del marito e nella tenera fiducia della
moglie, esprime l'importanza che la famiglia aveva presso gli Etruschi. La
coppia era solida.
Da notare che nelle tombe compare in evidenza sempre accanto al nome il prenome
del padre e della madre di entrambi i coniugi.
"Vel Titio Petronio, figlio di Vel e di Amelia Spurinna riposa qui con la moglie
Veila Clantia figlia di Arrus".
LA DONNA - All'interno della famiglia Etrusca, la donna ha un posto di notevole
risalto; anche nelle iscrizioni come abbiamo appena letto, é possibile notare il
particolare che distingue lo stato civile etrusco: il nome delle donne é
preceduto dal prenome; mentre una donna romana, per quanto illustre, sarà sempre
soltanto una Claudia, una Cornelia, ed anche se imperatrice, una Livia: le donne
etrusche erano individuate con un prenome che assicurava loro una personalità
all'interno della famiglia: inoltre mentre la forma onomastica latina menziona
dopo il prenome gentilizio solamente il prenome del padre: Marcus Tullitus,
Marci filii; l'epigrafia etrusca, vi aggiungeva il nome della madre. Queste
usanze, nella loro singolarità e nella loro persistenza, ci offrono un indizio
della particolare posizione della donna nella famiglia e della società etrusca.
Diremmo oggi, una donna emancipata.
La donna etrusca, infatti, presso gli scrittori greci e romani, non godeva di
grande reputazione; se la donna greca e quella romana vivevano nell'ombra della
casa, l'ideale della donna etrusca ed i suoi costumi sono profondamente diversi.
Dal marito é tenuta in alta considerazione.
(I mariti romani al massimo, quando lo facevano, scrivevano sulle tombe della
loro sposa "domum servavit". Che in poche parole voleva dire é stata una "buona
servetta della mia casa").
La donna etrusca "esce" molto, ha un'importanza a livello politico e anche
amministrativo, vive cioè pienamente la vita della famiglia e della società. Le
donne etrusche non godono soltanto di una libertà a confronto delle donne
romane, ma all'interno della società civile adempiono anche una funzione
preponderante addirittura: al punto tale che ha fatto giungere a conclusioni
forse eccessive, facendo parlare di vero e proprio matriarcato delle donne
etrusche. A testimonianza non vi sono solo esempi storici di donne
particolarmente in vista nelle vicende politiche, ma anche esempi archeologici
che ci mostrano l'importanza che la donna ha nelle tombe etrusche: non soltanto
nella posizione, ma anche nella scelta dell'arredamento.
Insomma la donna etrusca vive pienamente tutta l'attività intensa della società
etrusca, occupando un ruolo di vero privilegio, investita quasi da un'autorità
sovrana: é lei l'artista, la donna colta, curiosa delle preziosità
dell'ellenismo e promuove la civiltà e la cultura del proprio paese, ed infine é
venerata nella tomba come se fosse una dea. Fatto curioso è che nei ritratti dei
coperchi delle urne, sono rappresentate in un realismo straordinario, non
evitano di mostrare crudamente i segni della vecchiaia, la riproduzione accurata
dei difetti fisici, o la bruttezza del proprio viso. (come quella presente al
Museo Grandacci a Volterra). Si fanno ritrarre (si suppone ancora quand'erano in
vita) fedelmente; ci tengono a rimanere se stesse; indubbio segno di un forte
carattere.
LA VITA ATTIVA DEGLI ETRUSCHI - Com'è del resto oggi la Toscana, l'Etruria era
una regione fertilissima, sempre celebrata come "Etruria felix"; una terra
opulenta, ricca e generosa, coltivata con amore e tenacia. Plinio così ce la
descrive: " Il paesaggio é molto bello. Immaginate un anfiteatro immenso, quale
soltanto la natura può offrire: una piana vasta e spaziosa cinta da colline e
monti che hanno fino alla sommità boschi antichi d'alto fusto, e selvaggina
abbondante e varia. Dall'alto dei boschi scendono in declivio; là in mezzo,
pingui colline di terra buona, perché in nessuna parte é facile trovare roccia,
anche se la si ricerca. Non sono inferiori per fertilità i campi situati nella
pianura vera e propria: ricche messi vi maturano più tardi, é vero (Il
calendario ! ) ma non meno bene. Ai loro piedi da ogni lato si stendono i
vigneti allacciati tra loro in modo da coprire uniformemente lo spazio in lungo
e in largo; e al limite inferiore, quasi a formare un bordo, sorgono boschetti,
e poi prati e ancora terreni da grano, che non si possono arare, se non con
l'aiuto di buoi possenti e aratri robusti. Poi praterie cosparse di fiori
producono trifoglio, e altre erbe, sempre giovani e tenere, come se appena nate,
essendo questi terreni irrigati da sorgenti inesauribili".
E' evidente che Plinio si riferisce all'Etruria interna, quella delle alte valli
del Tevere e dell'Arno; molto diversa era la situazione sulla costa. C'erano le
paludi della Maremma e la malaria affliggeva e turbava profondamente la vita
dell'Etruria. Anche se affrontarono con coraggio, tenacia ed ingegno il problema
delle paludi e quello idrografico della distribuzione e regolamento delle acque,
col decadere della potenza etrusca, le opere di canalizzazione furono
abbandonate. non più curate e sorvegliate, e le paludi della Maremma tornarono a
dominare il territorio fino a tempi recenti. Scoperte archeologiche a Spina e
Adria - porti utilizzati dagli Etruschi - hanno messo in luce grandiosi lavori
con cui regolarono il complicato corso del Po. Poi abbandonarono tutto.
Durante il periodo d'oro, abbiamo testimonianze che gli Etruschi avevano per la
loro terra un grande attaccamento. Tenaci come agricoltori e colonizzatori,
portavano grande affetto al patrimonio agricolo. Con la pianura fertilissima,
gli Etruschi si dividevano i campi coltivati con precisione, delimitati da
confini ben chiari, tipica della campagna etrusca. Amata, curata e difesa con
ostinazione. Produceva cereali a sufficienza da poterne addirittura esportare
nei paesi vicini; il grano era la coltura di fondo, celebratissimo non solo per
la quantità ma anche per la qualità, per il candore della farina; Chiusi e
Arezzo celebri per il grano tenero per la confezione del pane fine; mentre a
Pisa famosa era la farina (di semola, quindi grano duro) per fare la pasta. (ma
due specie di frumento il Triticum sphaerococcum e il monococcum, compare nel
1700-1500 a.C. al Lago di Ledro; e queste due specie erano coltivate solo sul
Mar Caspio, non ancora in Grecia. Quindi arrivò dal nord e non dal sud)
Altra celebrità degli Etruschi (ancora oggi) é quella dei vini; decantati (ma
solo nel 400-300 a.C. da scrittori perfino in Grecia. Dionigi di Alicarnasso li
esalta e li paragona a quelli del Falerno e dei colli romani; Marziale li mette
alla pari con quelli della sua Spagna. Mentre altri autori riferendosi al vino
bianco (il rosso non esisteva ancora) precisano che il migliore di tutti é
quello prodotto al confine della Liguria.
(quello che oggi conosciamo come le Cinque Terre, l'Est Est Est)
La vite non sappiamo ancora se fu portata in Toscana (e quindi poi a Roma) dagli
Etruschi, oppure appresero la coltivazione dai palafitticoli. Questi ultimi,
negli insediamenti dei laghi alpini la coltivavano già mille anni prima
dell'arrivo degli Etruschi in Toscana (conoscevano già la distillazione) e
sappiamo che i palafitticoli nel 1100-1000 a.C. erano scesi quasi ai confini
della Toscana. A Roma arrivò con molto ritardo: verso il 600 a.C. Fra l'altro
dava un pessimo vino. Solo nel 300 a.C. ibridi di vitigni selezionati produssero
quello che poi diventerà il nettare del Lazio "i vini del Colli Albani".
Altrettanto in Toscana quando in seguito incrociando i vitigni di malvasia,
canaiolo, e il sangiovese (che è originario della Toscana e non della Romagna)
anche loro produssero il famoso "Chianti".
Specialità di Tarquinia era invece la coltura del lino e la sua tessitura;
l'industria tessile sembra sia stata una delle maggiori attività economiche
degli Etruschi, che ancora sotto l'impero d'Augusto teneva il primo posto per la
confezione di tele; innanzitutto quelle delle vele. (ma sia il lino, pezzi di
stoffa, e i perfetti telai per la tessitura sono stati rinvenuti al Lago di
Ledro, e operavano nel 1800-1300 a.C., in Tracia nel 4000 a. C.).
Per chi visita il museo Archeologico Palafitticolo di Ledro e poi subito dopo
quello Archeologico Etrusco di Firenze, non può che restare sconcertato.
L'ulivo - cosa strana anche questa - non era ancora diffuso nell'Etruria. Ai
tempi di Tarquinio Prisco, l'ulivo era del tutto ignoto in Italia. Questo fino
al secondo secolo a.C. Gli etruschi di olio ne facevano uso, ma come
testimoniano del resto le numerosissime anfore di fattura greca, era
direttamente importato dall'Egeo.
I primi colonizzatori greci misero a dimora le prime piantine di ulivo in Puglia
e nei pressi di Gioia Tauro solo nel 700 a.C. All'ulivo per crescere e produrre
occorrono diversi decenni; questo fu forse il motivo del grande ritardo
nell'introdurlo; perché non rendeva subito.
Non così gli alberi da frutta, così i legumi e gli ortaggi (solo alcuni)
celebrati nella Roma antica. Erano quasi tutti provenienti dalla Grecia, ma
anche questi limitati come varietà e qualità, perché i greci non avevano molti
contatti con la Mesopotamia e la zona del Caspio (nel "Paradiso" vedi NEOLITICO
- per l'origine delle più diffuse piante). Infatti per la varietà e la ricchezza
delle più note colture e frutti, l'Italia dovrà attendere gli Arabi
nell'800-1000 d.C. quando le loro conquiste arrivarono fino ai monti Elbruz, al
Caspio, a Samarcanda e ai confini della Cina, scoprendo il "paradiso", i
"giardini" del Turkmenistan, dove ancora oggi esistono tutte le famiglie delle
piante originarie di quasi tutti i frutti e le verdure che conosciamo; compresi
tutti i cereali: soia, riso, grano, granoturco, miglio.
Per quanto riguarda gli attrezzi agricoli, abbiamo una vasta collezione,
tramandata dalle tombe. Ci mostrano con chiarezza il metodo di lavoro del
contadino etrusco. Una serie di vanghe, roncole, falci e soprattutto alcuni
aratri. Contemporaneamente ne compaiono di diversa foggia, alcuni in uso
nell'antica Micene, altri in Grecia.
Anche l'allevamento del bestiame aveva una grande importanza: non soltanto
animali per il lavoro dei campi ma anche negli animali domestici per il consumo
diretto. Da dove questi provenivano se da nord o da sud, anche qui brancoliamo
nel buio. Pecore, capre, buoi, bufali, maiali, cavalli, conigli e pollame,
l'origine era sul Caspio. Allevamenti di questi animali domestici erano presenti
in Tracia nel 5000-4000 a.C., e i palafitticoli nei laghi (Val Camonica, Ledro,
Garda, Costanza) praticavano l'allevamento 1000 anni prima dell'arrivo degli
Etruschi. Insomma vale quanto detto sopra.
C'erano due correnti migratorie e due culture che s'intersecavano sempre sugli
Appennini. Con la differenza, che una per arrivarci aveva impiegato circa 2000
anni risalendo il Danubio, l'altra vi era giunta all'improvviso (ma forse in più
ondate) in poche settimane di navigazione. La prima nella sua lunga migrazione
bimillenaria in zone quasi disabitate non aveva ulteriormente accresciuta la sua
cultura (soprattutto sociale-politica); mentre la seconda mille anni dopo,
emigrando da un ambiente dove i fermenti politici autoritari erano stati
intensi, era approdata in Toscana con una società più scaltrita , evoluta e
complessa. Anche se poi accadde agli Etruschi lo stesso fenomeno ; "chiudendosi"
e "isolandosi" in quella che ritenevano essere la migliore società, seguitarono
a vivere come quando erano arrivati, perdendo contatto con quella "Nuova
Politica" (e perfino nella scrittura) che nel frattempo si era evoluta non solo
nel luogo d'origine, nell'Egeo, ma in una forma autoctona si era sviluppata e
perfezionata nel Lazio, a pochi passi dai loro regni, dove avevano eretto gli
Etruschi un "alto muro" di incomunicabilità.
Abbiamo parlato della ricchezza dell'agricoltura. Non tralasciamo di accennare a
quello della pesca che si svolgeva non soltanto sui mari ma anche sui laghi di
Bolsena, di Bracciano e di Vico, in cui gli Etruschi addirittura ambientarono
molti tipi di pesce d'acqua salata che si abituarono così all'acqua dolce.
Avevano la ricchezza dei boschi; ma qui gli Etruschi non operarono in modo molto
intelligente. La Toscana era disseminata di immense foreste d'alto fusto. Furono
saccheggiate senza alcun ritegno per far fronte alle richieste di legname navale
e domestico; ancora oggi é possibile notare gli effetti di questo spogliamento
massiccio e indiscriminato cui furono sottoposte le colline dell'Etruria; dei
ricchi boschi celebrati nell'antichità resta ben poco.
Per quanto riguarda invece la risorsa mineraria che può essere indicata come
l'origine dell'Etruria stessa, tutto il sud della provincia della Livorno
attuale, e tutto il territorio tra Volterra e Massa Marittima, conservano ancor
oggi notevole quantità di tracce di quest'attività secolare di estrazioni
minerarie. Soprattutto a Populonia (Piombino) la "generosa", le miniere di ferro
erano inesauribili e fu il centro dell'industria metallurgica che ha dato agli
Etruschi la potenza economica.
Ma strumento essenziale per la diffusione di questa potenza economica e
commerciale era la flotta mercantile, e ancor più lo sviluppo delle strade. Non
facile quest'ultima vocazione in una regione difficile e accidentata. Riuscirono
tuttavia a costruire una rete viaria piuttosto diffusa e importante. Lontane
però dall'idea delle strade romane; la maggior parte tracciate sulla nuda terra,
battuta dal continuo passaggio. Su queste strade gli Etruschi circolavano con
veicoli ampi e robusti a due ruote rinforzate da fasciature e da cerchi
metallici. Nelle giornate di pioggia possiamo immaginare cosa accadeva. I solchi
delle ruote aravano la strada.
LA VITA QUOTIDIANA - Un altro aspetto della vita etrusca, che ci mostra questo
popolo molto ricco, economicamente potente e politicamente sicuro é la sua vita
quotidiana. La grande ricchezza era soprattutto ostentata dentro le città
etrusche. Non é possibile ricostruire nei dettagli una giornata tipo per la
mancanza di testi letterari. Qualche notizia ce la fornisce uno storico greco,
Posidonio, e riguarda la ricca tavola etrusca: "Gli Etruschi si fanno
apparecchiare due volte al giorno una tavola sontuosa con tutto ciò che
contribuisce ad una vita delicata; preparare le coperte da letto ricamate a
fiori; disporre una quantità di vasellame d'argento; farsi servire da un numero
considerevole di servi". Evidentemente questa è però la giornata lieta e
gaudente d'un etrusco ricco; doveva essere invece ben diversa la vita della
maggioranza della popolazione.
Gli affreschi, conservati in molte tombe, ci mostrano spesso gli Etruschi nella
gioia dei banchetti, intenti a bere e a mangiare con opulenza e fasto, ed anche
la ricchezza del vasellame, rinvenuto nelle tombe, testimonia proprio
l'attenzione che gli Etruschi hanno sempre avuto per una tavola ricca, sontuosa
e ben curata anche nei dettagli.
Gran posto avevano nella vita degli Etruschi i giochi. Erodoto narra che prima
ancora di emigrare dalla Lidia, gli abitanti per la noia avevano inventato molti
giochi. Il più famoso quello dei dadi, e altrettanto famoso quello della palla
(episkyros o harpastum) Indubbiamente questi due giochi seguitarono ad essere
praticati anche nella nuova patria. Non per nulla che il calcio nasce a Firenze:
il florentinum harpastum; e anche il suo primo trattato.
Ma ancora più importante nella vita degli Etruschi era la musica. Storici
recenti tendono addirittura ad attribuire agli Etruschi la formazione del mito
di Orfeo, del mito principe, cioè della musica. Ma oggi sappiamo che il mito di
Orfeo era celebrato 2000 anni prima in Tracia (sempre la Tracia!).
L'importanza grandissima della musica é testimoniata non soltanto dagli
affreschi, dalle decorazioni dei vasi e da altri reperti archeologici, ma anche
dall'aspetto generale della civiltà etrusca: si può anzi affermare che non vi
fosse nessuna azione di una certa importanza della vita sia cittadina che
agricola (matrimoni, funerali, raccolti, vendemmie, banchetti, cerimonie
religiose), che non avesse un elemento musicale più o meno sviluppato.
La musica portava evidentemente con sé la danza: ed anche numerosi sono gli
affreschi che ci mostrano danzatori e danzatrici che si muovono con grazia e
leggerezza, disegnando graziose figurazioni.
LE CITTA' - Purtroppo per capire questa civiltà viva dentro le città etrusche,
dobbiamo ricorrere agli scavi delle città morte. Malgrado gli sforzi della
ricerca archeologica iniziata solo in questo secolo, con quanto scoperto e
rinvenuto non è stato possibile ricostruire un profilo sufficiente. Con pazienza
dobbiamo attendere ancora parecchi anni di ricerche e di studi.
Qualche traccia ci resta a Marzabotto, dove sono visibili alcuni elementi della
rete stradale e dei quartieri. Della planimetria delle città ci restano poi
alcune testimonianze scritte da autori antichi, i quali ci fanno pensare che, al
contrario di quanto avveniva in Grecia, dove il centro della città era l'agorà,
la piazza del ritrovo e del commercio, la città etrusca gravitasse attorno al
tempio, e che la disposizione degli edifici fosse stabilita da norme sacre.
Eccezionale é l'interesse delle tombe, perchè dalla pianta e dalle decorazioni
possiamo avere un'idea di com'erano fatte le case etrusche. Infatti, la tomba
era costruita a somiglianza della casa. Diffuso l'uso di scolpire nel tufo,
all'interno, le suppellettili domestiche, per esempio nella tomba di Cerveteri
(dell'Alcova, dei Rilievi) sono scolpiti letti, sedie e poltrone. Sulle pareti
poi sono dipinti altri oggetti, piante e animali, per rendere più completa la
somiglianza tra la tomba e la casa. Anche le urne cinerarie sono modellate a
forma di casa e ci danno un'idea di come fossero all'esterno le case.
Dunque ci restano soltanto le necropoli, i cimiteri. Necropoli a volte
vastissime e organizzate con un certo ordine e misura che ci mostrano, proprio
in questa loro grandezza ed ordinato svolgersi, un vero e proprio culto che gli
Etruschi dedicavano all'aldilà; al mondo dei morti.
Le tombe ci danno spesso, soprattutto nei centri di maggiore importanza politica
ed economica il senso piuttosto approssimativo di quella che doveva essere la
casa etrusca. Ben sviluppata, complessa, ricca di colonne, di travi, di
architravi, con un movimento architettonico ed una disposizione dei vani molto
comoda e funzionale. La casa etrusca si differenziava da quella dei Romani:
infatti per esempio, l'atrio non aveva l'impluvium, che sarà aggiunto soltanto
dai romani; né del resto aveva la semplicità e la funzionalità scarna di quella
romana.
Gli Etruschi facevano soprattutto sfoggio di colonne, mirando a dare un senso di
fasto e di ricchezza architettonica, di potenza e grandezza alla costruzione.
L'ostentazione insomma era una vocazione.
SULL'ARTE - L'ARTIGIANATO - LA LETTERATURA - Con il V secolo la Grecia entra
nello splendore del suo periodo classico e l'Etruria che aveva più o meno sempre
vissuta nell'orbita greca, se ne allontana, soprattutto a causa di mutate
situazioni economiche e commerciali. In tarda età, vale a dire dall'inizio del
terzo secolo in poi, l'arte etrusca é chiaramente nell'orbita di quel vasto
movimento culturale che va sotto il nome di Ellenismo.
Sull'artigianato gli Etruschi si distinguevano soprattutto nella lavorazione dei
metalli e della terracotta, e si tramandavano gelosamente di generazione in
generazione il mestiere all'interno di una città, senza renderne partecipi i
rimanenti confederati. Un provincialismo esasperato. E' questo uno degli aspetti
negativi di quella mancanza di unità che, come abbiamo già letto, sarà la causa
di rovina e di decadenza per la civiltà etrusca.
Sulla letteratura, alcuni studiosi ne mettono in dubbio addirittura l'esistenza.
Conosciamo alcuni libri etruschi perchè giunti fino a noi per mezzo di
traduzioni e riassunti fatti dai Romani: Ma questi libri erano riuniti in tre
gruppi: Libri Haruspicini, Libri Fulgirales e Libri Rituales. Trattavano
rispettivamente dell'arte divinatoria, dell'osservazione dei fulmini e di norme
attinenti il culto. Riguardavano anche istituzioni civili e militari. Erano
quindi libri sacri, che oltre ad avere un carattere religioso, avevano anche un
carattere giuridico: contenevano non solo norme religiose, ma anche un vero e
proprio corpo di leggi.
Sull'arte, sulla religione, sulla storia; temi appassionanti con argomenti
vastissimi, chiunque volesse approfondirli rimandiamo a un prezioso volume di J.
Heurgon, Vita quotidiana degli Etruschi, edito da Il Saggiatore, che ci è stato
più volte utilissimo per offrire questo piccolo quadro della civiltà etrusca.
Concludendo si può dire che la civiltà etrusca, nel suo splendido fiorire
plurisecolare, ha costituito non soltanto la prima grande, bene organizzata e
pienamente cosciente civiltà italiana, ma nel suo curioso e appassionato
affacciarsi verso la civiltà greca, ha costituito il primo ponte per
l'introduzione e lo sviluppo di questa nostra Italia.
Gli Etruschi stanno quindi al centro tra i Greci ed i Romani,
dei primi sono imitatori ed eredi, dei secondi sono educatori e quasi padri.
Se i libri sono importanti, ancora più importanti sono i musei. Quelli Etruschi
in Italia, sono per ricchezza di contenuti e di meraviglie artistiche la
testimonianza di una civiltà straordinaria che nessuno al mondo può vantare.
Le urne hanno immagini di un realismo spinto fino all'eccesso; sono palpitanti
di realtà concreta della vita quotidiana, non hanno la monumentalità inquietante
dei sarcofagi egiziani, non hanno come arte il bello classicistico ellenico, ma
esprimono realtà razionali, pensate e fatte a misura d'uomo.
Abbiamo detto CIVILTA' e ci teniamo a scriverla con le lettere maiuscole. Spesso
guardiamo altrove, e non ci rendiamo conto che abbiamo nella nostra Italia
quello che nessuno possiede: uno splendido passato.
Questo spesso gli italiani lo dimenticano.
Quando sfiorate queste città, non dimenticate di fermarvi e visitare i luoghi e
il locale Museo Etrusco.
LOCALITA' IN CUI FIORI' LA CIVILTA' ETRUSCA
CERVETERI (la Caere) - Scavi e museo - Celebre la "Tomba degli sposi" (quella
qui riportata)
VOLTERRA - Scavi - Materiale ritrovato ospitato nel MUSEO GUARNACCI
POPOLULONIA (LI) Scavi - Mat. ritr. ospitato nel Museo Etrusco di FIRENZE
VETULONIA (GR) Scavi - Mat. ritr. ospitato nel Museo Etrusco di FIRENZE
FIESOLE (FI) Scavi - Materiale ritrovato ospitato nel Museo di FIESOLE
VOLSINII - Scavi - Mat. ritr. ospitato nel Museo di ORVIETO
ROSSELLE - Necropoli - Mat. ritr. ospitato nel Museo Etrusco di FIRENZE
VULCI - Resti della città - Mat. ritr. ospitato nel Museo di FIRENZE e ROMA
TARQUINIA (VT) - TOMBE (circa 200), affreschi - Mat. ritr. Museo Naz. TARQUINIA
TARQUINIA (VT): CIVITA, antica città etrusca, basamento tempio, resti preziosi
cinta muraria.
CERE (RO) - Necropoli (circa 100 tombe) - Mat. ritr. - Museo VILLA GIULIA - ROMA
NORCHIA (VT) Necropoli su roccia)- Mat. ritr. - Museo VILLA GIULIA - ROMA
CASTEL D'ASSO (VT) - Tombe su parete (30)- Mat. ritr. - Museo VILLA GIULIA -
ROMA
CORCHIANO (VT) affreschi, Iscrizioni parietali
VEIO - Tempio, ponte, tombe - Mat. ritr. ospitato nel Museo VILLA GIULIA - ROMA
NEPI ( VITERBO ) - Necropoli di CASTEL S. ELIA
SUTRI (VT) - Anfiteatro, necropoli, sarcofagi - MUNICIPIO DI SUTRI
TUSCANIA (VT) - Necropoli - Tombe in zona Canino
SOVANA - (GR) Necropoli - Mat. ritr. ospitato nel Museo Etrusco di FIRENZE
SATURNIA - Resti delle mura etrusche -Mat. ritr. ospitato nel Museo Etrusco di
FIRENZE
CALETRA - Tavolette contenete l'alfabeto - Mat. ritr. ospitato nel Museo Etrusco
di FIRENZE
HEBA;AGLIANO (GR) - Tombe - Mat. ritr. ospitato nel Museo Etrusco di FIRENZE
TALAMONE - Scavi - Mat. ritr. ospitato nel Museo Etrusco di FIRENZE
COSA (Ansedonia) - Resti di mura. La "tagliata etrusca"
CHIUSI - Tomba delle Olimpiadi - Urne - Museo Etrusco di CHIUSI
PERUGIA - Cippo- Porta - Mat. ritr. ospitato nel Museo Archeologico di PERUGIA
CORTONA - Tombe - Mat. ritr. ospitato nel Museo Etrusco di CORTONA
S. GIULIANO - Necropoli - Mat. ritr. ospitato al Museo VILLA GIULIA - ROMA
BLERA (VT) - Necropoli e ponte etrusco - Mat. ritr. ospitato al Museo VILLA
GIULIA - ROMA
SPINA - Mat. ritr. ospitato al Museo Archeologico di FERRARA
MARZABOTTO - Necropoli - Mat. ritr. ospitato al Museo Archeologico di MARZABOTTO
PIACENZA - ("Fegato di Piacenza") - Mat. ritr. ospitato al Museo Archeologico di
PIACENZA
CAPUA -Mat. ritr. ospitato al Museo Archeologico Campano di CAPUA
AREZZO - Mat. ritr. ospitato nel Museo Etrusco di FIRENZE
Possiamo perfino chiederci se esistesse
ancora qualche cosa ai tempi di Varrone: è vero che il tratto citato è scritto
al presente, ma la notizia rimanne incompleta, secondo Plinio, perché Varrone
ripugnò - puduit ad indicare l’altezza delle piramidi più elevate, come se
seguisse fonti di cui non si sarebbe veramente fidato, senza possibilità di
verificare sul posto. E Plinio ricorda fabulae Etruscae per trovare la
precisazione sulla quale conclude la descrizione del monumento, di cui affermava
sin dall’inizio la fabulositas. Lo scetticismo dei due antiquari è abbastanza
giustificato dalla sparizione di una costruzione alla quale la tradizione
attribuiva dimensioni considerevoli: una base quadrata di 300 piedi di lato per
un’altezza totale di 600 piedi, cioè in misure moderne: 88,8 metri su 177,6
metri cifre che sembrano troppo elevate per i mezzi tecnici dell’epoca. Inoltre,
queste stesse cifre, che suppongono un modulo di 5 piedi e dei rapporti precisi
fra tutte le parti del monumento indicano in qualche modo un’opera ideale,
qualcosa come un esercizio scolastico, perfino un modello teorico che non
sarebbe stato effettivamente costruito. Rimane comunque un punto della
descrizione del monumento che sembra importante, mentre è più o meno trascurato
dai “ricostruttori”: tutti si sforzano di ritrovare la disposizione delle
piramidi su parecchi livelli, con piattaforme che le collegano e gli accessori,
dischi o gugliette, che le sormontano, ma ben pochi si preoccupano dell’
interiore della base stessa del monumento, del cosiddetto labirinto che avrebbe
contenuto e che giustificherebbe il nome dato all’insieme. E’ vero che la parola
erudeie sembra a volte indicare un monumento importante di pietra, senza che ci
fosse necessariamente dentro un percorso labirintico nel senso stretto che diamo
oggi a questo termine. Perfino nell’elenco dei quattro labirinti che da’ Plinio,
è chiaro che almeno uno, quello che si colloca a Lemmo – ma che doveva trovarsi
piuttosto a Sammo non comportava nessun percorso completo, ma solo un insieme di
cento cinquanta colonne perfettamente equilibrate: Eppure nel caso del monumento
di Chiusi Varrone insiste sulla presenza di un vero labirinto inextricabilis,
che si ritrova in un Virgilio, nella descrizione del labirinto cretese figurato
sulle porte del tempio di Apollo a Cuma; poi parla della necessità di utilizzare
un filo per dirigersi dentro, ciò che non può non far pensare al filo dato da
Arianna a Teseo. Questo labirinto è un labirinto quadrato. Sappiamo che le
monete di Cnoso rappresentano quello che sembra essere la pianta del labirinto
cretese, il più spesso sotto la forma di un disegno quadrato, ma almeno una
volta sotto la forma di un disegno rotondo. Nella stessa Etruria, l’oinochoe di
Tragliatello, presenta un labirinto di forma rotonda, abbastanza grossolano. In
quanto alla ricercasul territorio, si è potuto credere un tempo che la sepoltura
del re etrusco fosse stata ritrovata nel tumulo di Poggio Gaiella , esplorato
nel 1841, poi è stato capito che i corridoi sotterranei che collegano le diverse
camere funerarie fossero probabilmente opera di tombaroli e non potessero dunque
rappresentare i passaggi di un labirinto antico. E’ certo possibile supporre che
codesto tumulo sopportasse la costruzione descritta da Varrone, ma l’ipotesi e
perfettamente gratuita. In realtà il problema della localizzazione esatta del
labirinto toscano si poneva già a Plinio, poiché non c’èra più nessuna traccia
nel suo tempo, come per il labirinto cretese. Si dice che Papa Pio II, recandosi
al congresso di Modena nel 1459, e passando per Chiusi, cercò il labirinto che
Porsenna, re leggendario della città, avrebbe fatto costruire come sepoltura:
l’interesse archeologico per questo monumento non è dunque cosa nuova! Ma di
questo sepolcro sappiamo solo quello che ci fornisce una testimonianza indirette
di Varrone, trasmessa da Plinio, che l’ha completata con dati presi, secondo le
sue parole, dalle fabulae Etruscae. Parole di Porsenna junior : Uscii dalla
Città e scesi nella valle lungo il sentiero da cui un tempo ero venuto. Io non
scelsi la strada facile, che conduce alla montagna sacra, quella usata dai
tagliapietre, bensì la Scala Santa fiancheggiata dai pilastri di legno dipinti…
In silenzio oltrepassai l’ingresso alle tombe segnate dai tumuli di pietra e
prima di toccare la vetta, mi imbattei anche nella Tomba di mio Padre. Dinnanzi
a me, in ogni senso, si stendeva vasta la mia terra con le sue fertili vallate e
le sue boscose colline. A settentrione luccicavano le acque azzurro cupo del mio
lago, a occidente si levava il cono tranquillo ch’è la montagna della dea,
dirimpetto si stendevano le dimore eterne dei trapassati. A parlare così è il
protagonista: Turms. Figlio di Porsenna. La terra descritta sembra essere
esattamente la zona compresa tra Chiusi e Sarteano. Il lago a nord, il cono
tranquillo che è la montagna di Cetona ad ovest; le strade usate dai
tagliapietre, e cioè le vie cupe, “Via Inferi” che portavano dalla cava di
travertino di Sarteano “Pianacce”, a Chiusi; la valle con le tombe dei
trapassati, “Costolaie San Giuseppino”. Il figlio di Porsenna dice di essersi
imbattuto nella tomba del padre, che evidentemente non era così imponente. Ma si
trovava li tra la montagna sacra e la sua città “Chiusi”. Anche Turms si fa poi
seppellire nello stesso luogo. Questa sarà la mia sepoltura, scavatela nella
montagna e ornatela come si addice al mio stato. Il Tesoro Di Porsenna: II
tesoro nascosto più antico d’Italia è certamente quello del re etrusco Porsenna,
che risale al V secolo A. C. «Non c’è popolo europeo ha scritto Werner Keller,
autore fra l’altro del famosissimo La Bibbia aveva ragione che sia stato
maltrattato quanto gli etruschi, ne popolo la cui eredità sia stata così
sistematicamente distrutta. Come se la posterità si fosse ripromessa di spegnere
ogni traccia del ricordo di una nazione che un tempo scrisse con la sua azione
pionieristica il primo grande capitolo della storia dell’Occidente». Questo
antichissimo popolo italico si e lasciato dietro un alone di mistero e una fama
poco invidiabile. Venuti non si sa da dove e nascosti dietro una lingua
indecifrabile, gli etruschi sono stati presentati per secoli attraversò tutta
l’età classica come una razza di pirati crudeli, adoratori di dei infernali,
superstiziosi cultori di un’arte divinatoria spinta sino al limite della follia,
e incalliti libertini dediti ai piaceri più smodati. Solo negli ultimi decenni
questo quadro è stato smontato pezzo per pezzo egli etruschi, provenienti con
ogni probabilità dall’Asia Minore, hanno riassunto il loro vero volto di popolo
civilissimo, dedito ai commerci marittimi ne più ne meno dei fenici e dei greci;
inclini ai presagi offerti dai fenomeni naturali come tutti i popoli antichi; e
colpevoli del solo reato contro la morale di ammettere ai loro conviti anche le
donne, contrariamente ai pregiudizi misogini del mondo ellenico. Anche il mito
della lingua misteriosa si è andato sfaldando seppure a fatica per lasciare il
posto a testimonianze non tanto indecifrabili, quanto indecifrate, e soprattutto
difficili da interpretare ai fini di un’esatta comprensione di quella antica
cultura. Una cosa però è quasi certa: Roma nasce etrusca, fondata non dal suo
eponimo Remolo ma dal terzo dei suoi mitici re, Tarquinio Prisco, un etrusco poi
seguito da altri due sovrani della stessa origine, Servio Tullio e Tarquinio il
Superbo. L’ultimo re di Roma il Superbo, appunto viene cacciato attorno al 500
A. C. e significativamente va a cercar rifugio proprio presso quel popolo che
amava chiamarsi Rasena ma che i greci avevano ribattezzato Tyrsenoi, o Tyrrenoi;
e i latini Tusci, o Etrusci. Ed è a questo punto che entra in scena il nobile
(/ora) Porsenna. L’Etruria si stendeva dall’attuale Lazio settentrionale a tutta
la Toscana e parte dell’Emilia Romagna. Non aveva una struttura centralizzata,
ma si basava su una serie di città-stato rette da re sacerdoti, detti lucumoni,
e confederate nella cosiddetta Lega dei 12 popoli. Uno dei centri principali era
Clausium, cioè Chiusi, il cui lucumone Porsenna non si limita ad accogliere il
re fuggiasco, ma decide di muovere guerra a Roma. La leggenda pone sulla strada
del re etrusco due eroi destinati a fama imperitura: Muzio Scevola, che dopo
aver fallito un attentato contro la vita del lucumone decide di castigarsi da
solo stendendo la mano su un braciere ardente; e Orazio Coclite, l’orbo impavido
che da solo riesce a bloccare l’esercito nemico nel mezzo di un ponte sul
Tevere. Gloriosi episodi individuali che, come spesso avviene, serviranno agli
storici della Roma imperiale per abbellire la sgradevole realtà di
un’occupazione meno militari della Città Eterna. Ma Porsenna, una volta padrone
di Roma, non rimette sul trono Tarquinio il Superbo; e cosi gli etruschi dopo
aver fondato l’Orbe diventano anche i padrini di quella Repubblica che poco a
poco diventerà la massima potenza del Mediterraneo per oltre quattro secoli
prima di cedere il passo all’Impero dei Cesari: un nuovo astro sorge, mentre il
predominio etrusco s’avvia al tramonto; e fora Porsenna, saggiamente, opta ben
presto per far ritorno a Chiusi dove morirà poco più tardi. La tomba del
lucumone è imponente, come si addice a un personaggio di tanta rilevanza storica
e leggendaria. Scrive Plinio il Vecchio nel I sec. A. C., citando Varrone: «II
re Porsenna giace sepolto nel sottosuolo della città di Clusium, sotto un
monumento di pietre squadrate, largo 300 piedi e alto 50. Le fondamenta
rettangolari e uniformi celano un intricato labirinto dal quale nessuno può
trovare uscita senza un filo d’Arianna. Su queste fondamenta si alzano cinque
piramidi, quattro agli angoli e una al centro. Sulla cima, ognuna reca un disco
di bronzo da cui pendono campanelle appese a catene che lungamente risuonano a
ogni alito di vento». Plinio non parla del tesoro, ma è noto che gli etruschi
con il loro culto della vita nell’oltretomba usavano riempire le estreme dimore
dei personaggi più importanti di preziosa oreficeria, come è dimostrato dai vari
ritrovamenti succedutisi nel tempo: lamine d’oro a Pyrgi, collane e fibule a
Vulci, monete d’oro e d’argento a Populonia; e poi scarabei di pietre dure,
bronzetti votivi, anfore, ceramiche, canopi dalla testa d’animale. Nel corso dei
secoli la caccia al tesoro etrusco è sempre stata di moda. A cominciare dal re
ostrogoto Teodorico che nel V secolo d. C. statuiva: «È conforme all’uso
tradizionale restituire all’utilizzazione umana i tesori che giacciono sotto
terra e non lasciare ai morti ciò che può ancora servire ai vivi. Onde noi
ordiniamo di iniziare ricerche affinché l’oro e l’argento vengano portati alla
luce del sole, rispettando solo ciò che serve ai morti, come le ceneri custodite
nei mausolei e le colonne che ornano le tombe, mentre non è disdicevole
sottrarre l’oro che non ha più padrone...» Da allora attraverso i secoli bui, il
Medio Evo e il Rinascimento il saccheggio delle tombe etrusche è continuato
senza interruzione, restituendo all’utilizzazione umana, come pudicamente si
esprimeva Teodorico vere e proprie montagne di oro lavorato e di gioielli. La
ricerca diventa sistematica nell’800, a opera soprattutto dei principi Torlonia,
proprietari di vasti domini presso Vulci, che si circondano di archeologi ed
esperti, come [’incisore francese Alphonse Francois dotato di un fiuto
straordinario e destinato a diventare famoso per la scoperta presso Chiusi, nel
1845, del vaso che ancor oggi porta il suo nome. Ma neanche il naso di Francois
è sufficiente per rintracciare la famosa ‘tomba di Porsenna e il mitico tesoro
Che secondo le leggende, vi sarebbe contenuto. Certo, le imponenti cinque
piramidi di cui parlava Varrone con i dischi di bronzo e le campanelle che
tintinnano al minimo soffio di vento non ci sono più: ma Chiusi, l’antica
Clausium, deve pur ospitare da qualche parte il rifugio ipogeo del suo lucumone
più famoso. Per molto tempo le speranze si sono volte verso il Poggio della
Gaiella, 6 chilometri a nord di Chiusi, dove era stato scoperto un immenso
tumulo con una circonferenza di 250 metri, subito euforicamente battezzato la
‘tomba di Porsenna. Sotto si apre un vero e proprio labirinto con cunicoli e
loculi disposti su tre piani, che hanno fatto naturalmente pensare alla
descrizione di Plinio il Vecchio. Oltre cento anni di scavi, però, non sono
serviti a riportare alla luce alcun elemento che potesse confermare la speranza
di aver finalmente messo le mani sull’estrema dimora del lars dopo ben
venticinque secoli: e si è scoperto invece che il sottosuolo dell’odierna Chiusi
e tutto una ragnatela di gallerie, in parte franate, di epoca pre romana.
Un’altra vampata di entusiasmo si è accesa alcuni anni fa, quando proprio nel
centro storico, sotto la piazza del Duomo, è stato scoperto un grande vano,
sorretto da un pilastro e con le pareti ricoperte di travertino. La ‘tomba di
Porsenna ? La sala ha però condotto soltanto a un nuovo labirinto che si è
rivelato deludente quanto quello di Poggio della Gaiella. Il cosiddetto ‘mistero
etrusco ha anche eccitato la fantasia di gruppi esoterici che a decine si sono
dedicati all’impresa di stabilire un contatto, più o meno astrale, con gli
spiriti. Questa è una delle leggende etrusche di cui si è conservata memoria.
Plinio il Vecchio narrando del comportamento dei fulmini, riporta una storia
etrusca secondo la quale un fulmine fu evocato dal re Porsenna per distruggere
il mostro Olta che minacciava la città di Volsinii. Qui un animale mostruoso
dalla testa di lupo viene spinto dentro un puteale, cioè una struttura simile ad
un pozzo, che veniva costruita attorno ai luoghi colpiti dalle saette: erano
delle vere e proprie