L'interpretazione dei fulmini

 

L’interpretazione dei fulmini e delle viscere L’osservazione e l’interpretazione dei fulmini era regolata da una casistica alquanto complessa. Grande importanza avevano il luogo e il giorno in cui essi apparivano, ma anche la forma, il colore e gli effetti provocati. Le varie divinità che avevano la facoltà di lanciarli disponevano, ciascuna, di un solo fulmine alla volta, mentre Tinia ne aveva a disposizione tre. Il primo era il fulmine “ammonitore” che il dio lanciava di sua spontanea volontà e veniva interpretato come avvertimento; il secondo era il fulmine che “atterrisce” ed era considerato manifestazione d’ira; il terzo era il fulmine “devastatore”, motivo di annientamento e di trasformazione: Seneca scrive che esso “devasta tutto ciò su cui cade e trasforma ogni stato di cose che trova, sia pubbliche che private”. I fulmini erano variamente classificati a seconda che il loro avviso valesse per tutta la vita o solamente per un periodo determinato oppure per un tempo diverso da quello della caduta. C’era poi il fulmine che scoppiava a ciel sereno, senza che alcuno pensasse o facesse nulla, e questo, sempre stando a quel che dice Seneca, “o minaccia o promette o avverte”; quindi quello che “fora”, sottile e senza danni; quello che “schianta”; quello che “brucia”, ecc. Ma Seneca parla anche di fulmini che andavano in aiuto di chi li osservava, che recavano invece danno, che esortavano a compiere un sacrificio, ecc. Con un tale groviglio di possibilità, solo i sacerdoti esperti potevano sbrogliarsi. Plinio il Vecchio arriva ad affermare che un sacerdote esperto poteva anche riuscire a scongiurare la caduta di un fulmine o, al contrario, riuscire con speciali preghiere, ad ottenerla. Resta da dire che dopo la caduta di un fulmine c’era l’obbligo di costruire per esso una tomba: un piccolo pozzo, ricoperto da un tumuletto di terra, in cui dovevano essere accuratamente sepolti tutti i resti delle cose che il fulmine stesso aveva colpito, compresi gli eventuali cadaveri di persone uccise dalla scarica. Naturalmente, il luogo e la tomba erano considerati sacri e inviolabili ed essendo ritenuto di cattivo auspicio calpestarli, erano recintati e accuratamente evitati dalla gente, quali “nefasti da sfuggire”, come scriveva nel I secolo d.C. il poeta romano Persio originario dell’etrusca Volterra. L’interpretazione delle viscere Le viscere degli animali di cui si servivano gli Aruspici (dette in latino exta) erano di diverso tipo: polmoni, milza, cuore, ma specialmente fegato (in latino hepas). Esse venivano strappate ancora palpitanti dal corpo degli animali appena uccisi ed espressamente riservati alla consultazione divinatoria e quindi distinti da quelli immolati per il sacrificio. Esse venivano strappate ancora palpitanti dal corpo degli animali appena uccisi ed espressamente riservati alla consultazione divinatoria e quindi distinti da quelli immolati per i sacrifici. Si trattava in genere di buoi e talvolta anche di cavalli ma soprattutto di pecore. Delle viscere dovevano essere prese in considerazione la forma, le dimensioni, il colore ed ogni minimo particolare, specialmente gli eventuali difetti. Quando non rivelavano nulla di apprezzabile per la divinazione, erano ritenute “mute” e inutilizzabili; erano invece “adiutorie” quando indicavano qualche rimedio per scampare ad un pericolo; “regali” se promettevano onori ai potenti, eredità ai privati, ecc.; “pestifere” quando minacciavano lutti e disgrazie. L’osservazione era più minuziosa nel caso del fegato, dato che in esso, per l’aspetto generale e per la particolare conformazione, veniva riconosciuto il “tempio terrestre” corrispondente al “tempio celeste”. La sua importanza era del resto connessa alla credenza diffusa presso gli antichi che esso fosse la sede degli affetti, del coraggio, dell’ira e dell’intelligenza. Ritenuto che nel fegato fosse esattamente proiettata la divisione della volta celeste, si trattava di riconoscere a quale delle caselle di quella corrispondessero, nel fegato, le irregolarità. Le imperfezioni, i segni particolari o anche le regolarità, e quindi prendere in considerazione i messaggi della divinità che occupava la casella interessata. Per meglio riuscire nell’intento, per l’istruzione dei giovani aruspici, venivano utilizzati degli appositi modelli di fegato, in bronzo o in terracotta, sui quali erano riprodotte le varie ripartizioni e scritti i nomi delle diverse divinità.

L’osservazione dei prodigi La fama di insuperabili interpreti di viscere e fulmini, della quale godevano gli Etruschi, era completata da quella che li riteneva anche esperti conoscitori del significato di ogni genere di prodigi. Il romano Varrone, che desumeva evidentemente da fonti etrusche, riferisce che tra i prodigi si distinguevano l’ostentum, che prediceva il futuro; il “prodigio”, che indicava il da farsi; il “miracolo”, che manifestava qualcosa di straordinario; il “mostro”, che dava un avvertimento. Tra i prodigi più frequenti erano annoverati la pioggia di sangue, la pioggia di pietre e quella di latte, gli animali che parlavano, la grandine, le comete, le statue che sudavano, ecc. In aggiunta alle manifestazioni di carattere straordinario, nelle categorie dei prodigi rientravano anche fatti del tutto naturali: c’erano perciò alberi e animali “felici” o “infelici”, cioè portatori di cattivo o di buon auspicio, piante commestibili che portavano bene e piante selvatiche che portavano male. La casistica era infinita: ad essa tutti prestavano in genere molta attenzione, magari per tradizione o per rispetto della comune opinione.

Libri Fulgurales Seneca (II 32 ss.) e Plinio (II,135 ss:) hanno conservato una larga parte di excepta dai libri fulgorales etruschi e della loro minuziosa casistica (soprattutto delle opere del volterrano Cecina). Il principio basilare e’ quello secondo il quale: alcuni Dei posseggono le Manubiae, ovvero le potesta’ di scagliare i fulmini.(Serv. Aen. I,42.) In particolare 9 dei (Plin. n. h.,II,138), forse da identificare con i misteriosi dii novensiles o novensides della lista di Marziano Capella, ma noti anche in dediche romane. I tipi di Fulmine sono 11 per 9 Dei, perche’ Tinia (Tin = Giove) possiede 3 manubiae. (Plin. n.h., II, 138; Sen. n.q. II,41) Le 3 manubie possono distinguersi per il loro significato e per il fatto di essere scagliati da Giove da solo o con il “consiglio” degli altri Dei. Prima manubia del Solo Tinia Seconda manubia di Tinia + i 12 Dei Consentes Terza Manubia di Tinai + Dei Involuti I 3 tipi di fulmini possono essere di natura fisica (Fest. p. 114 L; Sen. n.q. II, 40) oppure per alcuni (Serv. auct. Aen. VIII, 429) ostentatorium = dimostrativo (dopo consultazione con i 12 Dei Consentes. Segno di Ira degli Dei.Utile e dannoso serve per impaurire). peremptorium = perentorio (Dopo consultazione con i Dei superiores et involuti. Devasta. Indica che tutto verra’ radicalmente trasforamato nella vita pubblica o privata.) presagum = presago (Di avvertimento per suadere (convincere) o dissuadere (far cambiare idea)). Da Seneca ..manubia placata est et ipsius concilio iovis mittitur. oppure per altri (Serv. Aen. I, 230) quod terreat = che atterisce quod adflet = che soffia quod puniat = che punisce Degli altri 9 Dei abbiamo solo degli indizi,dalle fonti letterari, per 5 di essi: Uni = Giunone Menerva = (Mnrva,Menrua,Meneruva,Merva,Merua,Mera)= Minerva Sethlans = Vulcano Mari = (Mars,Maris) Marte Satres = (Satrs) Saturno La dottrina romana del fulmine attribuiva i fulmini notturni a Summanus e tenendo conto del fegato di Piacenza e cio’ che dice Capella probabilmente il corrispondente etrusco potrebbe essere Cilen - Nocturnus. Mentre l’identita’ tra Vetisl etrusco e Vediovis o Veiovis romano farebbe attribuire a questo una manubia infera, anche in considerazione di uno Zeus sbarbato munito di fulmine frequente nella iconografia etrusca. Anche per i fulmini vale la dottrina delle 16 regioni che vale per l’epatoscopia.(Plin. n.h. II, 143) L’esame del fulmine (e del tuono) da parte dell’aruspice prevedeva una casitica precisa, enunciataci da Seneca (n.q. II ,48 ,2 ): 1- Da parte di quale Dio proviene 2- quale = di che tipo e’ 3- quantum = la durata 4- ubi factum sit, cui = l’ oggetto colpito 5- quando, in qua re = in che circostanza

Per quel che riguarda il tipo: 1 - di che colore era il fulmine manubiae albae = bianche = forse di Tinia manubiae nigrae = nere = di Sethlans manubiae rubrae = rosse = forse di Mari Provenienti dai Pianeti associati al nome divino e non dal Dio. I fulmini provenienti da Satres provenivano anche dalla Terra in inverno ed erano detti Infernali. 2 - genus: l’ acre del fulmine, il grave del tuono, intensita’ e capacita’ erano di 3 tipi: quod terebrat = che perfora,sottile e fiammeggiante. quod dissipat = che si disperde,passante,capace di rompere senza perforare. quod urit = che brucia in 3 modi come un soffio (afflat) e senza grave danno bruciando dando fuoco 3 - C’ erano fulmini Secchi - Umidi e Clarum (Plinio) Per quel che riguarda l’oggetto colpito i fulmini possono essere fatidica = cioe’ portatori espressi di segni eventualmente comprensibili (fata) bruta = privi di significato vana = il cui significato si perde l’oggetto puo’ essere schiantato = discutere non rompersi = terebrare essere + o - affumicato = urere restare affumicato = fuscare

Per quel che riguarda l’auruspice Seneca dice che il sacerdote procedeva con l’analisi sistematica = quomodo exploremus con l’interpetazione dei segni = quomodo interpretemus con l’espiazione, propiziazione e purificazione = quomodo exoremus Ma soprattuto il sacerdote non era solo in grado di leggere i segni ma anche di evocarli con l’attirare (exorare) il fulmine.